Il ddl di riforma costituzionale preparato dal governo Meloni prevede la cancellazione dell’istituto dei senatori a vita, che, come è noto, sono nominati dal presidente della Repubblica per meriti acquisiti nelle loro attività. L’articolo della Costituzione che li prevede (il 59) è stato oggetto anche in passato di riflessioni e polemiche, sia in merito alla sua corretta interpretazione sia perché spesse volte il voto dei senatori avita è stato determinante nell’approvazione di provvedimenti importanti o addirittura nel voto di fiducia a un governo.
Per quel che concerne il primo punto, la contesa ha riguardato il loro effettivo numero, che la Costituzione prevede in cinque ma senza ben specificare se ogni presidente ne può comunque nominare tanti indipendentemente dal loro numero complessivo oppure se devono essere cinque in totale. Sciolto in senso restrittivo questo nodo con una legge di tre anni fa, sul tappeto è rimasta la questione più generale della ratio di questa figura. Le domande che ci si deve porre sono essenzialmente due: che senso aveva avuto l’introduzione in Costituzione dei senatori a vita? E quel senso permane ancora oggi?
Quel pregiudizio elitistico, per cui a governare deve essere chi possiede la conoscenza, non era probabilmente ancora stato superato in quegli anni. Ma, a ben vedere, non lo è stato nemmeno dopo, tanto che è riaffiorato periodicamente con la richiesta di dare il potere agli esperti o, come si dice, ai “tecnici”. È un’idea che ha percorso come un fiume carsico anche le ideologie politiche della Repubblica, a cominciare da quella azionista: si pensi a Norberto Bobbio (che sarebbe anche lui diventato senatore a vita) che parlava di una melior et senior pars a cui affidare il potere. Che l’idea epistocratica, come pure si chiama, sia sbagliata, oltre che antidemocratica, è evidente, in teoria come in pratica. In teoria, perché, come ci ha insegnato Hayek, la conoscenza necessaria alle cose pratiche è diffusa e nemmeno il più dotto degli uomini può dire di possederla tutta e per conto degli altri (ognuno sa meglio degli altri cosa è bene per sé). In pratica, perché la storia ci insegna che ogni volta che gli intellettuali o i colti sono andati al potere hanno combinato un bel po’ di pasticci. L’utopia platonica del re-filosofo si è cioè trasformata quasi sempre in una distopia. I nostri senatori a vita sono stati evidentemente tutt’altra cosa da questi esempi estremi, ma il principio a cui risponde la loro esistenza è lo stesso. Bene è quindi superare una volta per tutte ogni equivoco con la cancellazione di questo vetusto istituto.