Per Marx non c’erano dubbi: il comunismo altro non sarebbe stato che il primo regime politico ad abolire la proprietà privata, fonte e ragione a suo dire di tutte le disuglianze e ingiustizie di questo mondo. Viste le cose col senno di poi, si può dire che il comunismo non ha raggiunto il suo scopo e sia miseramente fallito (mostrando il volto tragico e criminale che assume il suo programma quando si prova a metterlo in atto). Eppure, è lecito affermare che, a due secoli di distanza, un doppio successo quell’ideologia perversa l’abbia raggiunto. In teoria, il tema della proprietà privata è stato infatti espunto da ogni riflessione filosofica, tanto che anche i liberali è come se avessero oggi paura o vergogna di parlarne; in pratica, i diritti connessi al suo possesso sono messi in ogni momento in discussione e risultano costantemente minacciati dallo Stato e dai poteri pubblici. In una parola, La proprietà è sotto attacco, come recita il titolo di un agile e prezioso volume di Carlo Lottieri appena pubblicato da Liberilibri sotto gli auspici di Confedelizia (il cui presidente Giorgio Spaziani Testa firma la prefazione).
DOMINIO O LIBERTÀ?
Lottieri ci mostra, in pagine di rara efficacia, come buona parte della cultura politica contemporanea, anche lontana dal marxismo, ne abbia fatto propria la tesi centrale, quella secondo cui «i diritti di proprietà sono strumenti per il dominio della classe borghese su quella proletaria». Nulla di tutto questo. La proprietà, in un’ottica liberale, è un diritto naturale, oltre che una proiezione oggettiva e materializzzata della nostra libertà, cioè delle nostre possibilità di azione. Il potere, essendo per sua natura tendente a limitare gli spazi di libertà dei singoli, cioè lo spazio vitale che ogni uomo crea intorno a sé, ha facile gioco nell’iniziare ad aggredire proprio il possesso materiale di cose e beni quando tende a prevaricare. Lo fa soprattutto con la tassazione, la quale assume le sembianze di un vero e proprio esproprio.