dietrofront, compagni

Stellantis, quando Pd e Conte lodavano la fusione coi francesi

Sandro Iacometti

Ci mancherebbe. Se Stellantis minaccia di abbandonare l’Italia vuoi che non sia colpa di Giorgia Meloni? Nella bufera di reazioni provocate dall’ultimatum dell’ad Carlo Tavares, ben sintetizzato da Carlo Calenda con la frase «quanto mi dai per non chiudere», quelle che puntano il dito sui vertici del gruppo, a partire dagli Agnelli-Elkann che dovrebbero avere un po’ a cuore il futuro di un Paese dove hanno banchettato a piacimento per generazioni, si contano sulle dita di una mano. No, la colpa è del governo di centrodestra che non sa tenere a bada i “prenditori” franco-italiani, che non ha una politica industriale e che non è neanche capace di occupare manu militari l’azienda facendo entrare lo Stato nell’azionariato, come hanno fatto i francesi. Il bello è che la fusione tra Fca e Peugeot non è roba dell’altro secolo, è avvenuta nel gennaio del 2021. E allora a Palazzo Chigi, guarda un po’, c’era proprio chi oggi accusa l’esecutivo di essersi fatto mettere sotto dai francesi.

SOLUZIONE IN TASCA
Ecco, di sicuro tutti coloro che oggi sembrano avere la soluzione in tasca allora avranno sparato a zero contro l’operazione anti-italiana degli Agnelli. Chissà quante gliene hanno dette. Ebbene, questo fu il commento di Giuseppe Conte in un’intervista alla Stampa di fine dicembre 2019, quando già era stata firmata la dichiarazione di intenti di Fca e Psa: «Può essere una grande opportunità per l’Italia», anche perché «la garanzia che i livelli di occupazione saranno protetti è stata messa nera su bianco». A beh, allora siamo a posto. D’altra parte, i vertici del gruppo erano stati chiari. Sentite qua. «La fusione è uno scudo protettivo: tutelerà i posti di lavoro e proteggerà gli stabilimenti italiani», assicurava Carlos Tavares il 19 gennaio 2021 a fusione appena avvenuta. E ancora: «Il nostro impegno è non chiudere nessuno stabilimento produttivo».

 

 

Parole convincenti? Non proprio. Già allora c’era chi sentiva puzza di bruciato. «Ai francesi andrà la maggioranza del board, il ceo, il vicepresidente e il rappresentante dei sindacati. Insomma, addio Fiat», diceva il senatore Fdi, Adolfo Urso il 4 gennaio del 2021. Assai simile la posizione di Giorgia Meloni, sempre del 4 gennaio: «I francesi avranno il controllo totale della società dopo una trattativa durata mesi, dove il grande assente è stato il governo italiano, incapace di difendere gli interessi nazionali e sempre più asservito a quelli stranieri». Ma anche Matteo Salvini non si era lasciato infinocchiare. «Un intervento dello Stato in Stellantis?», diceva il 25 gennaio del 2021, «temo sia tardi e che l'attuale governo sarà chiamato a risponderne davanti a operaie a imprenditori fornitori e subfornitori. Se devo fare un pronostico, in Francia non licenzieranno nessuno, a rischiare sono gli operai italiani».
Vabbè, direte voi, c’era il centrosinistra al potere e le opposizioni protestavano per principio. Epperò c’è anche un tal Romano Prodi, che in un editoriale sul Messaggero del 10 gennaio del 2021 scriveva: «In Italia l’unione fra Psa e Fca viene chiamata una fusione, intendendo un matrimonio fra pari. Al di fuori del nostro Paese si parla invece di un’acquisizione. In effetti tutte le decisioni fino ad ora prese vanno in questa direzione». Compito del nostro governo, proseguiva, «è fare in modo che la resurrezione della Fiat non avvenga solo nei suoi impianti polacchi, serbi o di altri Paesi».

SITUAZIONE CRISTALLINA
Insomma, anche a sinistra la situazione era chiara e cristallina. Gli unici che non avevano capito, o fingevano di non capire, erano proprio gli inquilini di Palazzo Chigi, Pd e M5S. Dopo gli applausi di Conte, infatti, arrivano anche quelli di Stefano Patuanelli, allora ministro dello Sviluppo, che esprime la sua soddisfazione in una dichiarazione congiunta (4 gennaio del 2021): «Patuanelli, e il ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire, accolgono con favore l’approvazione della Commissione Ue della proposta di fusione e si congratulano con dirigenti e dipendenti per il loro successo». Un successo. E tale sembrò allora anche ad Antonio Misiani, allora viceministro dell’Economia del Pd: «La nascita di Stellantis è una buona notizia anche per l’Italia, perché il settore auto è alle prese con cambi di paradigma giganteschi». Servono spalle larghe, spiegava Misiani, «e Stellantis le ha». La volete saper l’ultima? Pur ammettendo che «non mancano i rischi legati alle sinergie e le sovrapposizioni», persino Maurizio Landini, in un’intervista a Repubblica del 6 gennaio 2021, definiva la fusione «una grande opportunità».