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Gli agricoltori non scherzano, ne va della loro sopravvivenza: lobby Ue avvisate

Gianluigi Paragone
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Sono scene dure, di scontri violenti con le forze dell’ordine in tenuta antisommossa: momenti di vera e propria guerriglia nel quartiere dove l’Europa si fa istituzione, palazzo, potere. Sono il termometro di una situazione che non si placa e convoglia trattori da più Paesi. Sono scene che qualcuno sovrapporrà alle manifestazioni di questi giorni nel tentativo di creare un qualche corto circuito. Il gioco non regge: da una parte c’è il sacrosanto diritto di esprimere anche in piazza il proprio pensiero su un determinato tema, dall’altra c’è la lotta per difendere il pane da mettere a tavola, c’è la resistenza al fine di non mandare gambe all’aria la propria attività imprenditoriale e contestualmente difendere un settore strategico da un imminente cannibalismo per opera dei grandi interessi. In altre parole la rabbia degli agricoltori è l’istinto di sopravvivenza. Non per questo - sia chiaro pensiamo che la linea dello scontro duro e della violenza possa di per sé essere ammessa o sdoganata, ma la rivolta dei trattori di ideologico ha ben poco.

Oltre alla linea dei più intransigenti, c’è poi quella che pur tenendo posizioni di principio altrettanto dure e nette contro l’Europa sta fuori dalle barricate concentrandosi sulla trattativa serrata con Bruxelles; è il caso delle italiane Coldiretti e Confagricoltura, presenti ai massimi livelli. Solo avendo chiaro questo quadro d’insieme possiamo comprendere gli sviluppi di una contestazione che, come dicevo, non si spegnerà a breve. Del resto siamo alla vigilia delle elezioni europee e questa finestra è fondamentale per una “dialettica” che metta a riparo le piccole aziende agricole dalle riforme varate dalla recente Commissione e in parte recentemente sospese.

 

 

Non a caso si sono dati appuntamento proprio nel giorno del Consiglio Agricoltura, durante il quale i ministri dei paesi dell’Unione discutevano le proposte di semplificazione avanzate dalla Von der Leyen e il pacchetto contenente la sospensione per il 2024 dell’obbligo di mettere a riposo il 4% dei terreni e una moratoria delle sanzioni per chi non rispetta gli obblighi europei a causa dei disastri ambientali. Che la nuova Pac sia stata scritta con l’inchiostro “verde ideologico” e con il “blu royal” delle multinazionali è evidente anche dalla retromarcia dopo le contestazioni degli agricoltori di tutta Europa. Ora siamo in una fase di stallo e solo all’indomani dei risultati elettorali si capirà se le sospensioni di oggi si trasformeranno in una inversione a U. Di errori ne sono stati commessi tanti, troppi; di mezzo c’è un mondo agricolo che garantisce la tenuta del comparto. Come già avevamo spiegato, i famosi “sussidi europei” tagliano fuori il grosso delle aziende perché il criterio è la quantità di ettari di terreno posseduto. In Italia e (mediamente) in Europa il 64% degli agricoltori ha meno di 5 ettari di terreno, e quindi ottiene pochissimo da Bruxelles.

Giusto due numeri. Il 52,85% degli agricoltori italiani ha preso da zero (sì, neanche un euro) a 1250 euro dei contributi del 2021. E l’83% riceve appena il 23% dei finanziamenti, cioè non oltre 5 mila euro a testa.La rabbia dei trattori in rivolta si incrocia con la disparità delle politiche Ue: il grosso dei tre miliardi e mezzo di euro distribuiti nel 2021 è finito alle aziende medio- grandi che rappresentano solo il 17% del totale; i tre quarti dei fondi (il 77%) va a loro. Lo 0,03% delle aziende ha ricevuto il 14% dei finanziamenti: tra i 250 mila e i 300 mila euro a testa. Infine c’è la questione delle politiche internazionali che ricadono sulle importazioni. Per quanto l’Europa sia la più grande potenza agricola come capacità di export, importa sempre più materie prime dall’Ucraina e dall’America Latina i cui standard produttivi sono inferiori rispetto a quelli Ue provocando così non solo un danno economico agli agricoltori ma anche anche ai cittadini. 

 

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