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Abruzzo, premiata la continuità contro l'overdose di propaganda

di Marco Patricelli martedì 12 marzo 2024

3' di lettura

Il campo largo dell’armata dei capitani di ventura della sinistra guidata da Luciano D’Amico ha ammainato le bandiere multicolori a Campo Imperatore. L’Abruzzo non è terra di conquista e incorona all’ombra del Gran Sasso il suo nuovo capo, Marco Marsilio II, con l’ordinale, successore di se stesso e unico presidente a essere rieletto nella storia della Regione.

La battaglia per la conquista del fortino di roccia nel cuore dell’Italia è stata in dubbio solo nei sussurri di corridoio di fantascientifici sondaggi che vagheggiavano un testa a testa fino all’ultima scheda e azzardavano persino il sorpasso dell’ex rettore dell’Università di Teramo sul governatore uscente. Tutto è andato sì secondo pronostico, ma quello altrettanto segreto del centrodestra che dava sei-sette punti percentuali di vantaggio, un’enormità che sbriciola la forbice statistica e rimette in linea gli artefici della missione impossibile. Il sogno del campo talmente largo da perderne la definizione è morto ancora prima dell’alba, a tre ore dall’apertura delle urne. L’universo mondo della politica italiana si è speso più che per l’Abruzzo per tirare la volata ai due candidati nello scontro secco e senza le ambiguità furbesche del voto disgiunto.

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ENDORSEMENT
Una tornata elettorale alla quale sono mancati solo gli endorsement della trimurti Biden, Trump e von der Leyen abitualmente tirata per la giacca a esprimere un parere su cose e realtà che non si conoscono, forse per impossibilità di localizzare l’Abruzzo sulla cartina geografica, ma che ha avuto l’attenzione dei media nazionali come mai prima, e persino telecamere e riflettori di una delle proverbiali maratone televisive di Enrico Mentana. Toni alti dallo choc sardo e qualche scivolata di stile nell’ultima fase con colpi sotto la cintola al presidente uscente, ma era (quasi) tutto scritto.
Il resto è stata un’overdose di propaganda, di lucciole per lanterne, di ingigantimenti e ridimensionamenti della portata reale delle elezioni, quasi a dimenticare che si disegnava il prossimo quinquennio di una regione centrale definita di volta il volta il sud del nord e il nord del sud, attratta storicamente da Roma molto più che da Napoli, che cerca una sua identità precisa oltre i luoghi comuni, gli stereotipi, le eccellenze e le magagne. Un Abruzzo che stavolta riscopre se stesso nel segno della continuità, che si dà un credito di fiducia, che nell’asse politico dalla costa alla Capitale travalicando gli Appennini vede quell’autostrada a percorrenza veloce per sviluppare progetti, scrollarsi di dosso il vecchio, agganciarsi definitivamente a una dimensione nazionale e sovranazionale.

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LUOGHI COMUNI
Il centrosinistra ha continuato a battere sui temi più triti del facile consenso, soprattutto da parte dei politici di importazione e di passaggio che di questa terra storicamente e fino al 1970 declinata al plurale per definirne le diverse identità hanno continuato a suonare la grancassa delle cose che non vanno invece di indicare le soluzioni per farle andare. Metà degli abruzzesi non sono andati a votare e nessuno se li può intestare. Altro che euforia nel primo rilievo dell’affluenza, che faceva ben sperare, altro che mobilitazione delle truppe cammellate nella tradizione della sinistra. E pensare che pure il maltempo ha tolto l’alibi del richiamo del mare e delle passeggiate in montagna. Al di là delle tare e delle variabili, il risultato è chiaro, netto, univoco. Il caso Sardegna è rimasto lontano, neppure l’onda lunga è arrivata a turbare equilibri più saldi di quanto interpretato nelle segreterie vicine e lontane.

Anche qui sono rimasti in piedi i soli stereotipi, quelli che vogliono abruzzesi e sardi in perenne competizione tra chi è più testardo, e le due terre tradizionalmente affratellate dalla pastorizia. Sui tratturi d’Abruzzo, però, la storia da tempo ha ripreso a trottare con i ritmi della modernità. L’Abruzzo di oggi è quello che in dieci ore ha spaccato il capello in quattro sui contenuti delle urne dando pure la composizione del nuovo Consiglio regionale con tanto di nomi e cognomi. Un abisso rispetto al precedente della Sardegna. Che non è stato neanche in questo un precedente, bensì un episodio. Isolato, verrebbe da dire e non soltanto per motivi geografici.

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