La vicenda barese

La questione morale ha ucciso la politica

Corrado Ocone

Ha senza dubbio il sapore della nemesi la vicenda barese. Che il “campo largo” imploda già prima di dar prova di sé in seguito a un’inchiesta della magistratura è per molti aspetti paradossale. Proprio l’arma della “questione morale”, per tanti anni impugnata dalla sinistra contro la destra, diventa infatti ora lo strumento di una lotta fratricida fatta di denunce e colpi bassi.

Considerate le cose da un punto di vista storico, quel che succede a Bari sembra però chiudere anche un ciclo che possiamo far iniziare dalla famosa intervista concessa da Berlinguer a Scalfari nel 1981. In essa, il leader comunista individuava nella “questione morale” non semplicemente un problema da risolvere con le armi della giustizia, ma più radicalmente il centro del problema politico italiano. In soldoni, Berlinguer, resosi ormai conto dell’improponibilità di una rivoluzione comunista, non avendo il coraggio di voltare pagina facendo definitivamente i conti con il passato, proponeva al suo Partito di far valere la propria presunta diversità non sul campo della politica, in cui era risultato sconfitto, ma su quello di una “superiorità morale” dei suoi uomini tutta da dimostrare. La sola in grado di risolvere, a suo dire, la «questione nazionale più importante».

LA BORGHESIA RIFLESSIVA
Fra l’altro, questa svolta politica avrebbe permesso ai comunisti italiani di intrecciare ancor più i rapporti con i ceti medi emergenti in una società italiana più ricca e benestante rispetto al passato, cioè con la “borghesia riflessiva” a cui proprio la Repubblica di Scalfari intendeva dare voce e rappresentanza. Un nuovo “blocco sociale” di potere “egemonico” da opporre ad un’idea di democrazia compiuta e dell’alternanza, alla ricerca di una “terza via” fra comunismo e socialdemocrazia che in realtà non c’è ma che era l’ennesimo fantoccio retorico per non sconfessare il proprio passato comunista.

Morto Berlinguer e caduti i regimi che ruotavano attorno all’Unione Sovietica, scoppiata successivamente Mani Pulite, la sinistra italiana continuò sostanzialmente lungo la linea tracciata dal vecchio leader. Trovatosi inaspettatamente un nuovo avversario sulla strada, Silvio Berlusconi, essa, nelle sue voci politiche e mediatiche più accreditate, decise di sconfiggerlo non sul terreno del leale confronto politico e delle idee ma su quello appunto morale, e addirittura “antropologico”, della delegittimazione.

 

Le nuove generazioni politiche italiane, venuto meno il sistema dei partiti che reggeva nel bene e nel male la cosiddetta Prima Repubblica, si disabituarono così completamente a quell’arte raffinata e nobile che era e rimane la politica. La quale spesso riemergeva e faceva valere i propri diritti, frenando agli occhi di una parte non irrilevante dell’opinione pubblica (che aveva un supporto mediatico non indifferente), l’azione radicale e moralizzatrice del nuovo partito nato sulle ceneri del vecchio comunista. La scorciatoia morale o pseudo tale aveva ormai conquistato e radicalizzato le coscienze di molti. Ed è in questo “brodo di coltura” che nacque e si affermò in modo travolgente il Movimento Cinque Stelle. Ma è ancora esso che giustifica la nascita di leader politici provenienti dalla magistratura, proprio sul modello di Emiliano, il quale, prima da sindaco di Bari e poi da presidente della Regione Puglia, ha creato un vero e proprio sistema di potere e di consenso i cui molteplici lati e sfaccettature vengono proprio in questi giorni all’attenzione dei più.

IL VICOLO CIECO
Quel che però a me sembra emergere prepotente dalle ultime vicende è proprio il vicolo cieco a cui ha portato l’abiura della politica da parte della sinistra. Una cifra che, oltre a caratterizzarne da tempo l’azione, mostra anche l’impossibilità di creare un “campo largo” laddove non c’è la condivisione di un’idea di Paese o un minimo di idee comuni atte a delineare un programma di governo alternativo.

Mancando questo sostrato culturale, è evidente che, da una parte, la politica comune può definirsi solo in negativo (di qui tutta la retorica esacerbante sulle “destre al governo” e sul “pericolo” che rappresenterebbero); dall’altra, può definirsi in positivo solo come una alleanza di potere per spartirsi posti e prebende. È altresì chiaro che, stando così le cose, la stessa “questione morale” diventi uno strumento della politica, anzi un surrogato improprio. E che, come suol dirsi riecheggiando una celebre espressione di Nenni, nella lotta a chi è più puro si troverà sempre prima o poi qualcuno che è, o pretende di essere, più puro di te e che ti epurerà. Che la sinistra non faccia politica e che non riesca ad aggregarsi, è sicuramente un vantaggio sul breve e medio periodo per la destra. Che ciò sia alla lunga auspicabile per il Paese, e per la sua corretta dialettica democratica, non lo si può però dire. Una opposizione forte e seria è sempre auspicabile, e in fin dei conti gioverebbe alla stessa destra come stimolo o pungolo a migliorarsi.