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Lega, la sua concretezza aveva conquistato anche Enzo Bettiza

di Francesco Damato sabato 13 aprile 2024

3' di lettura

Nel quarantesimo anniversario della fondazione di una Lega diventata il partito più anziano di quelli rappresentati in Parlamento, dove ci sono solo tracce più o memo sommerse della Dc, del Pci eccetera in altre formazioni politiche protagoniste o attrici di questa incerta edizione della Repubblica, fra la seconda nella quale molti credono di vivere e la quarta proposta ogni settimana da Nicola Porro su una rete del Biscione; nel quarantesimo anniversario, dicevo, della fondazione della Lega mi sovviene il ricordo di uno degli ultimi incontri da me avuti col fraterno amico, e maestro, Enzo Bettiza. Enzo, che sarebbe scomparso dopo qualche mese all’età di 90 anni, aveva appena rivelato di votare da qualche tempo per la Lega: lui che, profugo in Italia da quella che oggi è la Croazia, era stato da giovane attivista del Pci, promosso all’esame - diciamo così - da Giancarlo Pajetta, poi liberale, nelle cui liste divenne senatore, poi ancora europarlamentare delle liste laiche unitarie, poi ancora socialista e teorico, con Ugo Intini in un celebre saggio, del famoso “Lib lab”. Da cui era nato praticamente il pentapartito comprensivo di socialisti e liberali, incompatibili invece nelle prime edizioni del centro-sinistra realizzate dalla Dc fra gli anni Sessanta e Ottanta.

IL DIALOGO
«Perché voti la Lega?», gli chiesi pranzando insieme vicino casa sua, a Roma, in un ristorante al quale era affezionato. Glielo chiesi ricordandogli, fra l’altro, i tempi in cui Umberto Bossi mi aveva trattato da “terrone” all’arrivo alla direzione del Giorno e mi aveva denunciato addirittura per associazione a delinquere con altri colleghi del quotidiano allora dell’Eni che ne avevano criticato anch’essi i comizi troppo eccitati, a dir poco, a Pontida e dintorni. Quei suoi insulti urbi et orbi sarebbero diventati carezze al confronto con quelli di Beppe Grillo, ma erano apparsi allora urla barbariche: un po’ come anche quei manifesti fatti affiggere sui muri di Milano attorno alla sede del Giorno per contestare l’archiviazione della sua denuncia contro di me e i miei colleghi disposta da un magistrato, guarda caso, meridionale pure lui. Bettiza, che pure in quelle occasioni mi era stato solidale come nel 1983 andandocene insieme dal Giornale per l’ostilità di Indro Montanelli a Bettino Craxi, rispose opponendo a quei miei ricordi l’abitudine del professore leghista Gianfranco Miglio di contare in tedesco le galline del suo orto mentre lo attraversava con l’ospite di turno, che fu più volte lo stesso Bossi, prima che i due rompessero.

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GLI ORTI NAZIONALI
E mi disse che ormai, destinati tutti noi europei - secondo lui - a stare sempre più insieme, avremmo avuto sempre meno da fare nei nostri orti nazionali, al di là di una semplice, o quasi, amministrazione degli affari correnti. In cui i leghisti, come dimostravano le amministrazioni locali che guidavano, sapevano fare meglio e più degli altri perché, consapevoli o no, eredi delle tradizioni che lui definiva “asburgiche”. Ecco perché egli aveva dunque cominciato a votarli, chiudendo il suo lungo e variegato percorso politico legato solo dal filo della “devozione alla libertà”, concluse sorridendo, come per farsi scusare quell’illusione giovanile che gli aveva procurato la promozione - o la tolleranza, chissà - di uno come Giancarlo Pajetta. Che non era stato certamente un comunista all’acqua di rosa, un migliorista alla maniera di Giorgio Napolitano. Grande, grandissimo Enzo.

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Quanto mi manchi a distanza di quasi sette anni dalla tua morte. E quanto forse avevi saputo interpretare o prevedere il futuro, nonostante la tua fede europeistica possa sembrare oggi in contrasto con certe intemperanze di Matteo Salvini. Al quale forse, dopo averlo cominciato a votare pure tu, essendo lui già diventato il capo della Lega, ripeteresti oggi quello che avevi detto da giovane alla tua figliola Michela. Che a Mosca, dove tu lavoravi come corrispondente della Stampa, rispondeva orgogliosamente “italiana” ai coetanei dei giochi scolastici e condominiali che ne chiedevano la nazionalità. E tu, Enzo, dopo averla personalmente sentita, le consigliasti una volta di dichiararsi europea, più semplicemente o completamente europea. Come europarlamentare saresti poi diventato nel 1979 e rimasto sino al 1994, eletto prima nell’Italia nord-occidentale e poi in quella nord-orientale

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