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Elly Schlein, tutti sul carro della segretaria: sinistra, fuori i nomi dei voltagabbana

Pietro Senaldi
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Sic transit gloria mundi, successo e celebrità sono effimeri, passano. In politica però, a volte tornano, soprattutto a sinistra e nel Partito Democratico. E' quanto accaduto a Elly Schlein. La segretaria ha preso i dem nel febbraio 2023, reduci dalla batosta del 19% delle Politiche dell’anno prima ed è stata subito osannata, salutata dai media progressisti come la donna del futuro.

Tempo due o tre mesi però ed Elly aveva già stufato tutti a sinistra. I più dotti analisti la davano per finita, la accusavano di essere succube di Giuseppe Conte, di farsi dettare la linea dalla Cgil di Maurizio Landini e di seguire alla lettera i consiglii degli intellettuali ultras Chiara Valerio e Roberto Saviano. Dopo le Europee, il Pd se ne libererà, si diceva e scriveva pure, Dario Franceschini, che l’ha inventata, l’ha scaricata da un pezzo e già lavora al successore. Erano tutto furiosi con la segretaria, rea di non gestire il partito con le consuete regole della consorteria e di non omaggiare le eminenze grigie che non si sporcano le mani con la bassa politica ma vogliono eterodirigere quella alta.

 

 

 

Poi è arrivato il fine settimana dell’8 e 9 giugno e il Pd alle Europee ha guadagnato cinque punti, finendo al 24,1%. Ecco allora che i suoi più grandi critici si sono trasformati nei maggiori laudatores. Tutto dimenticato. Il contrordine compagni, come sempre, ha fatto breccia. Spettacolare la piroetta inscenata da Massimo Giannini. Il noto notista ha passato l’ultimo anno a infilzare la segretaria sostenendo che non si capisce quando parla, svicola anziché avere una linea politica, è subalterna a Giuseppe Conte. Peggio: «Ha mediato con i cacicchi, rischia di dover andare via un minuto dopo il voto». Lunedì, come nulla fosse, lo stesso uomo già la incoronava gran visir della sinistra, spiegando che l’alternativa a lei sarebbe il baratro. Incoerenza? No, «noi l’abbiamo sferzata e lei ha cambiato linea», si è giustificato l’infallibile. Ma Giannini non è il solo a salire sul carro della vincitrice dopo aver provato a svitarle le ruote. Romano Prodi era stato durissimo con lei: «La sua candidatura è una ferita alla democrazia» aveva tuonato, ostacolando la corsa a Bruxelles della segretaria, di cui in privato già da mesi parlava come di una brava ragazza con le idee un po’ confuse. Ebbene, passate 24 ore dalla vittoria l’ex leader ulivista già nominava Elly sua erede unica, «la grande federatrice della sinistra, un’occasione unica per il Pd, ora dominante a sinistra».

È tutto un peana. Su La Stampa, la vicedirettrice Annalisa Cuzzocrea descrive la Schlein come una fredda pokerista, che gioca a Texas Hold’em per rilassarsi, «la sola a non aver mai inseguito Giorgia Meloni sul suo terreno, creatrice di liste plurali, unica artefice del successo perché sono state le sue idee a dominare la campagna dem». E l’economista Veronica De Romanis pare autocandidarsi: «Tutti dicono che Meloni avrà un ruolo chiave in Europa» scrive, «ma Schlein sarà molto più decisiva, in quanto capo della principale componente del Partito Socialista Europeo».

Già, ma dimentica che sarà Giorgia e non Elly a trattare con il Ppe il presidente della commissione nonché il commissario italiano. Sviste da cervelloni. Poco importa. Chissà cosa scriverà a giorni Fabrizio Roncone, la penna più affilata del Corriere della Sera, che da tempo raccontava della «declinante leadership della Schlein, malsopportata in un Pd rassegnato a tenersela fino alle Europee». Descrizione corredata da ripetuti retroscena su una segretaria «ormai andata», con una lista di onorevoli dem in fila per raccontare ai cronisti di come «quando lei arriva in Aula, a differenza della Meloni, non ne avverti l’energia».

 

 

 

Stefano Cappellini si è già portato avanti: «Elly vince perché i suoi difetti sono punti di forza». La segretaria non capisce perché la prendono in giro se dice di avere un armocromista e finge di non sapere che è un problema se i tre quarti del partito le hanno votato contro? «È il suo lato pop», chiosa il cronista, dopo aver ripulito la penna dal veleno. Sono in tanti a sperare che ClarabElly abbia scarsa memoria. Ma chi è in realtà la Schlein e come le è riuscito di rianare i dem? Tanti fattori coincidenti. Ha preso da Letta un partito al minimo ed era difficile fare peggio, anche perché le Europee sono la zona di comfort del Pd, dove prende sempre quattro punti in più rispetto ai sondaggi. Ha fatto delle liste mettendo dentro di tutto, dai pacifisti come Cecilia Strada e Marco Tarquinio agli atlantisti alla Lucia Annunziata. Dopo aver dichiarato guerra ai padroni locali delle tessere, li ha schierati quasi tutti facendoli lavorare per lei, da Antonio De Caro a Bari, a Stefano Bonaccini in Emilia Romagna, a Giorgio Gori in Lombardia. Ha candidato perfino Lello Topo, 70mila preferenze, fedelissimo del governatore Vincenzo De Luca in Campania, il re dei cacicchi che voleva epurare. Le hanno tutti portato voti e ora le fanno anche il favore di togliersi dai piedi e andare a Bruxelles.

Ma il capolavoro lo ha realizzato con Giuseppe Conte: lo ha lasciato a parlare di guerra, tema al quale gli elettori grillini sono indifferenti, e gli ha sfilato tutte le battaglie sociali, dopo che il leader M5S era finito per diventare una costola del Pd anziche il cuore dell’opposizione. Infine, forse, la carta vincente di Elly è stata non dare ascolto agli intellettuali del Pd, che proprio per questo a un certo punto hanno iniziato ad attaccarla, e imitare Giorgia Meloni: metterci la faccia, puntare al dualismo con la premier e parlare di cose che interessano i suoi elettori.

 

 

 

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