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Autonomia, quell'offensiva della Cei: nemica del progetto leghista

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Daniele Dell'Orco
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Quanto sono lontani i tempi in cui la sinistra accusava gli ambienti clericali di intromettersi nella politica italiana, ovviamente sui temi etici. Ora che al governo c’è Giorgia Meloni, quelle che una volta si chiamavano “ingerenze” sono diventate “consigli”. I “piccoli suggerimenti” della Conferenza Episcopale Italiana, ad esempio, negli ultimi mesi si sono concentrati su premierato e autonomia differenziata, dossier ben più politici rispetto ad aborto, divorzio, coppie di fatto, eutanasia. A settembre 2023, il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi, si disse preoccupato del fatto che la riforma Calderoli possa incidere «sui diritti fondamentali dell'uomo, come la salute diseguale». Poco dopo, a dicembre, fu direttamente il presidente, il cardinale Matteo Zuppi ad inaugurare una sorta di crociata contro l’autonomia: «Tutti i vescovi del Sud sono sul piede di guerra perché temono che questo aumentino questi disequilibri».

A inizio anno i toni da battaglieri sono diventati persino epici, con il vicepresidente della Cei, mons. Francesco Savino, che disse: «Se dovesse passare questa legge diventeremo ancora più poveri. E l’ora di non fare silenzio, è l’ora di osare». Appena poche ore prima che il quotidiano dei vescovi, Avvenire, inaugurò la sua prima pagina all’indomani dell’approvazione in Senato della riforma Calderoli, col titolo: «Più autonomi o più soli?» Alla battaglia centralista, la Cei ha poi aggiunto quella contro il premierato e quella pro-Ue. Alla vigilia delle Europee dello scorso giugno, Zuppi all’assemblea generale disse: «Spero che gli italiani si sentano più europei perché è necessaria più Europa e non meno». Sull’autonomia arrivò la risposta piccata direttamente da Calderoli. Meloni risponde: «Mi dispiace per il pregiudizio, possiamo parlarne quando vogliono». Come a dire che sarebbe stato meglio fare una telefonata anziché bastonare dalla carta stampata. Sul premierato, invece, intervenne Giorgia Meloni, ancora più infastidita: «Non so esattamente di cosa sia preoccupata la Conferenza episcopale italiana visto che la riforma del premierato non interviene nei rapporti tra Stato e Chiesa. Con tutto il rispetto, non mi sembra che lo Stato Vaticano sia una Repubblica parlamentare». La polemica, comunque, è andata avanti anche nelle scorse settimane.

 

 

Ancora Savino ha rivendicato la legittimità delle rivendicazioni della Cei dicendo: «La politica deve mettersi in postura di ascolto nei confronti dei cittadini, e noi vescovi, cittadini prima di essere chiamati al sacerdozio e all'episcopato, sentiamo la responsabilità di curare il nostro popolo, che spesso, dialogando con noi, esprime perplessità circa questa legge sul premierato». Zuppi, invece, si è fatto velatamente minaccioso dicendo: «Se vogliamo che durino (le riforme, ndr) devono avere un coinvolgimento di tutti. Cerchiamo di fare tutti quanti il possibile perché sia così. Si vede che non ci hanno preso sul serio». Il grande accusatore del governo comunque resta Savino, secondo cui gli esiti dell’autonomia saranno «disastrosi» e la «resistenza contro questa riforma potrebbe essere un’occasione provvidenziale perché noi uomini e donne del Sud maturiamo il protagonismo di un nuovo umanesimo». Infine, a il mese scorso su La Stampa, ha strizzato l’occhio ai progressisti che vedono nero: «Preferisco una democrazia imperfetta allieventuale dittatura perfetta evocata indirettamente da sovranismi e populismi».

 

 

 

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