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Calenda fa flop perché il suo centro non esiste

Carlo Calenda

Corrado Ocone
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L’ha buttata sul privato Carlo Calenda. Dopo l’uscita dal partito di Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini, il leader di Azione ha osservato, alquanto indignato: «È gente che avevamo accolta in una fase delicata della loro vita professionale e che abbiamo fatto rientrare in Parlamento in posti sicuri e in listini bloccati!».

Anche se lo sfogo è umanamente comprensibile, è chiaro che gratitudine e fedeltà sono due valori morali e non politici. In verità, l’abbandono delle due ex ministre forziste (che ha fatto seguito a quello di altri importanti esponenti) segnala qualcosa di più profondo: il sostanziale fallimento del progetto politico che stava a cuore a Calenda.

Anche in questo caso gli elementi extrapolitici, su cui pure tanto si è insistito, c’entrano ben poco, o quanto meno sono conseguenza e non causa del fallimento.
Per individuare invece la sostanza politica della questione occorre porsi alcune domande: Cosa è il Centro in politica? Era (è) veramente un Centro quello di Calenda? Più radicalmente: c’è oggi spazio per una forza centrista nel sistema politico italiano? A tutta evidenza una forza che si collochi al Centro dovrebbe essere libera di votare a volte con la destra e a volte con la sinistra, a seconda delle circostanze. Azione, tranne rare occasioni, e già prima che bussasse alle porte del “campo largo”, ha votato sempre contro la destra di governo.

D’altronde, Calenda ha una storia personale svoltasi tutta a sinistra e, probabilmente, non ci si sarebbe potuto aspettare di diverso da lui. Certo, la loro presenza avrebbe potuto segnalare la mancanza, in Italia, di una sinistra riformista e occidentale, non radicale e movimentista come quella attuale, diciamo pure di ispirazione blairiana. Ma, a maggior ragione, aprirsi completamente alla sinistra come è adesso, fra l’altro da posizioni di assoluta minoranza, come ha fatto apertamente in questi ultimi tempi Azione, non può che lasciare disorientati gli elettori e assumere ai loro occhi l’aspetto dell’opportunismo.

E arriviamo così all’altra parola magica che viene usata in questi casi, anch’essa molto equivoca e poco chiara nel suo significato: moderatismo. Diamo per acquisito, in maniera molto approssimativa, che moderato sia il cittadino medio che non ama le avventure, che vuole che la politica si impicci il minimo indispensabile dei suoi affari, che agli ideali palingenetici o salvifici preferisca la semplice e onesta dedizione ai propri cari e alle proprie attività quotidiane. Questa Italia “moderata” e conservatrice, una buona metà della popolazione, era al tempo della Prima Repubblica profondamente anticomunista. Per arginare il partito di Togliatti e Berlinguer, essa non aveva dubbi nel votare la vecchia Balena Bianca, casomai “turandosi il naso” come diceva di fare Indro Montanelli.

 

CHI SONO I MODERATI?

La classe moderata si ritrovò poi quasi naturalmente, negli anni Ottanta, sotto le bandiere del craxismo: contro un sindacalismo impazzito, solidarizzò con la cosiddetta “marcia dei quarantamila” a Torino e votò per l’abolizione della scala mobile. La grande intuizione di Silvio Berlusconi fu farsene interprete nella convinzione, che oggi possiamo dire era realtà, che, con la caduta del Muro i comunisti avessero cambiato nome ma non pelle. Gli italiani, entusiasti, lo seguirono.

Ora volete, a trent’anni di distanza, che questo ceto moderato segua la coppia Bonelli-Fratoianni, i grillini giustizialisti o i piddini transgenderisti à la Schlein? La verità è che il moderatismo così inteso è rappresentato o è confluito quasi per intero nella destra: nessuno ha, infatti, creduto alla bufala di un suo “fascismo” né a quella di un “populismo” pronto a mandare alla malora i conti pubblici e a isolare l’Italia in campo internazionale.

Chi se non la destra difende oggi quei valori moderati che solo qualche radical chic può giudicare prosaici? Chi se non la destra difende la casa e la proprietà privata? Chi vuole che l’industria nazionale tenga e non ceda alle follie green? Chi combatte ogni giorno il dirigismo e lo statalismo? Chi sembra corrispondere di più all’invocazione di minor tasse e di un fisco più amico? La destra tutta intera e non la sola Forza Italia, come alcuni commentatori di parte vorrebbero far credere. Anche se è un fatto che proprio la scelta netta di campo abbia favorito alle ultime elezioni il partito di Tajani, che con un Centro strabico (cioè che guarda a sinistra) non ha avuto ovviamente e per fortuna mai nulla a che fare. In sostanza, un Centro politico, nel senso dell’equidistanza fra due poli radicali, oggi in Italia non avrebbe senso perché l’estremismo politico, che pure c’è, è solo da una parte.

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