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Daniele Capezzone, chi sono gli occidentali che odiano l'Occidente

Daniele Capezzone
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«Da anni, una folta e agguerrita schiera di politici e commentatori spara a palle incatenate contro il nostro Occidente. Chissà perché, però, questi signori stentano a trasferirsi a Pechino-Mosca-Teheran: molto meglio restare qui, nei loro confortevoli salotti di Roma-Parigi-Berlino-New York, per spiegarci che la nostra metà del mondo fa schifo, è colpevole di vecchie e nuove atrocità, ed è moralmente responsabile di tutti i mali del pianeta. Intendiamoci: i nostri Paesi sono pieni di guai e di difetti, ci fanno disperare ogni giorno, occorre lottare senza sosta per cambiarli. Ma come si fa ad avere un solo istante di esitazione nella scelta del modello di riferimento? Di qua, c’è un mix di democrazia politica e libero mercato: combinazione discutibile e imperfetta quanto si vuole, ma è il modo meno violento di organizzare i rapporti civili e sociali che gli esseri umani abbiano saputo inventare. Di là, invece, nei presunti “paradisi” anti-occidentali, cosa c’è? Autocrazie, oppressione, fondamentalismo religioso, molto spesso accoppiati a una vita più povera e alla persecuzione di dissidenti e oppositori. È lì che ci si vorrebbe portare?». È questo un passaggio di Occidente noi e loro. Contro la resa a dittatori e islamisti (Piemme, pp. 224, euro 18,90) saggio agile e provocatorio in uscita oggi nel quale Daniele Capezzone, direttore editoriale di Libero, polemizza contro i nemici della libertà, i commentatori terzomondisti, i cripto-antisemiti, gli odiatori dell’Occidente, i guru e i paraguru progressisti. Un testo che non fa sconti, che prende di petto le proteste e le polemiche di questi mesi e cerca di scuotere chi rischia di cadere vittima di argomenti tanto suggestivi quanto infondati. Per gentile concessione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo un ampio estratto del capitolo intitolato “Lettera aperta a un giovane confuso”. 

Non dispiaccia alle attuali anime belle della sinistra, che preferiscono i temini antifascisti di Antonio Scurati. Al contrario, suggeriremmo a tutti la rilettura dei celebri versi di Pier Paolo Pasolini scritti dopo i fatti di Valle Giulia nel 1968 e indirizzati agli studenti a seguito dei loro scontri con i poliziotti. Rileggiamone uno stralcio: Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi quelli delle televisioni) vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio delle Università) il culo. Io no, amici. Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccoloborghesi, amici. Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri. Ecco, caro giovane protestatario del 2024, non ti «leccherò il culo» nemmeno io. Né a te né ai tuoi colleghi - capre come e più di te – che hanno organizzato scenate e chiassate nelle università americane. Da quelle parti – da New York a Los Angeles – sembrano aver smarrito perfino il senso dell’umorismo. 

Sai cos’hanno chiesto gli studenti che manifestavano pro Gaza la scorsa primavera? Non solo legno per fare le barricate e maschere antigas, ma pure cibo vegano e senza glutine. Chiaro? La rivoluzione deve essere rigorosamente bio. Di più: hanno esplicitamente domandato l’esclusione del bagel, il tipico pane ebraico newyorkese. Se non ci fosse da piangere, ci si potrebbe perfino sganasciare dalle risate

 

 

 

*** E allora veniamo a noi. Vorrei – metaforicamente – prenderti per il bavero e chiederti: ma sei rincretinito (e dunque sei almeno «salvabile») o sei proprio da considerare completamente perso alla causa? Seguimi un attimo nel ragionamento. Dici di essere – qui in Italia – a favore del diritto al dissenso. Molto bene. Ma lo sai cosa succede a chi dissente nei Paesi di cui incredibilmente alzi la bandiera? Hai mai riflettuto sulla sorte delle minoranze politiche sotto Hamas o sotto il regime iraniano? Il trittico delle possibilità prevede: galera, morte, esilio.Ancora. Dici di essere a favore dei diritti delle donne. Di nuovo: molto bene. Ma hai mai riflettuto sul fatto che, in regime di Islam fondamentalista, le donne vivono in un sistema di segregazione? E che, in caso di adulterio, si procede allegramente alla loro lapidazione? E da ultimo. Sei orgogliosamente a favore dei diritti Lgbtq+. Ecco: ti hanno informato del fatto che, sempre in quegli ambientini a favore dei quali canti e manifesti, le persone omosessuali sono soggette a un’autentica e selvaggia persecuzione? E tu che fai, invece? Come se nulla fosse, alzi il cartello: «Queers for Palestine». E allora si torna al solito bivio: o sei scemo o sei un traditore dei valori a cui dici di ispirarti.

Diciamocelo chiaro e tondo. Quando, con la necessaria distanza temporale ed emotiva, verrà scritta la storia di questi mesi nel nostro Occidente, più di qualcuno avrà valide ragioni per vergognarsi e per tentare di cancellare almeno qualche traccia del proprio comportamento, così come di non poche parole pronunciate. Pensiamo solo alla condizione delle donne israeliane, anzi – per essere più precisi – delle donne ebree israeliane: per meritare un minimo di rispetto, di considerazione, di ricordo umanamente caldo e sincero, non è bastato neppure che fossero uccise il 7 ottobre dalle belve di Hamas, o che fossero violentate, o che fossero prima violentate e poi uccise, tanto per non farsi mancare nulla.

 

 

 

Nell’atroce «morra» ideologica antisionista (ma prima o poi sarà il caso di usare la parola più terribile e precisa: antisemita), l’essere ebrea prevale sull’essere donna, la connotazione religiosa e nazionale soverchia quella di genere, e dunque – paradossalmente – toglie a quelle persone lo status di vittime o di vittime meritevoli di memoria, pietà, calore. Un’esagerazione di chi, come me, è notoriamente schierato per il diritto di Israele a esistere e a difendersi? Tutt’altro, giudica tu.

*** Primo esempio: l’8 marzo scorso, si è svolto a Roma l’ormai tradizionale corteo di “Non una di meno”, centrato sullo «stop al patriarcato e alle bombe su Gaza». Ecco gli slogan e i principali striscioni: «Insultate, stuprate, ammazzate, ci volete mute, ci avrete arrabbiate. Distruggete il patriarcato». E dal megafono è stata puntualmente scandita la giaculatoria pacifista a senso unico: «Siamo qui per far risuonare il grido delle donne palestinesi e curde». E le donne israeliane? Sono forse meno vittime, sono forse meno violentate delle altre? Come se non ci fossero: tamquam non essent. E, su un altro piano, le donne nel mondo arabo e islamico, vittime – lì sì – di patriarcato e segregazione? Meglio non approfondire: è più comodo inventarsi qualche scioglilingua sul patriarcato da recitare qui. Del resto ormai l’abbiamo imparata la canzoncina: i maschi sono sempre colpevoli – qui a casa nostra – se bianchi e occidentali; quando invece – a qualunque latitudine – si tratta di uomini islamici, allora diventano, di volta in volta, «oppressi», «psicolabili», «depressi». Vuoi un altro caso? Ecco – immancabile – il pensierino sempre dell’8 marzo del mitico Patrick Zaki: «Oggi faciamo (N.d.A.: ha scritto proprio così, «faciamo») rumore per tutte le donne del mondo. Per Giulia Cecchettin, per Ilaria Salis, per le donne palestinesi che difendono i loro figli dai proiettili e dai missili dell’esercito israeliano, per le donne sudanesi violentate da entrambe le parti del conflitto armato, per le donne ribelli dell’Iran, per le donne del Congo». C’è tutto, tranne le donne israeliane. In uno spettacolare rovesciamento delle cose, compaiono le donne palestinesi, ma solo come vittime degli israeliani, mica del terrore di Hamas, che le considera – al pari di uomini e bimbi, del resto – nulla più che scudi umani e carne da sacrificare.

È più forte di loro, e starei per dire che ormai questi slittamenti concettuali, queste omissioni, questi ribaltamenti, avvengono in perfetta buona fede: nel senso che il pregiudizio e l’ideologia sono talmente interiorizzati e «naturali» da non richiedere alcuna malizia o alcuna consapevole cattiva intenzione, che infatti tendo a escludere. Ecco, contro tutto questo, mi permetterai di rivolgere non solo un pensiero alle grandi dimenticate (e cioè alle ebree israeliane trucidate all’inizio di ottobre), ma anche e soprattutto – ammesso siano ancora vive – alle ebree rapite rimaste per mesi nelle mani degli aguzzini di Hamas.

Alla fine di gennaio scorso, una di loro, Aviva Siegel, rilasciata nel corso del cessate il fuoco del novembre precedente, ha reso una drammatica testimonianza alla Knesset, spiegando come le donne superstiti (e in qualche caso pure gli uomini rapiti) venissero violentate dai carcerieri nei tunnel. Non si tratta di episodi, ma di un «regular sexual abuse»: i rapitori hanno dunque trasformato gli ostaggi in oggetti sessuali. In sostanza, l’arma disumana dello strupro non è stata solo usata il 7 ottobre o nelle fasi iniziali di quella atroce vicenda, ma è diventata un ordinario passatempo per i carcerieri. Immaginate la condizione delle persone catturate: hanno magari visto con i loro occhi la morte dei loro cari, sanno di essere sole al mondo, non hanno alcuna certezza di uscire vive da questa orribile avventura, e per giunta sono trattate da schiave sessuali delle belve islamiste.

«L’ho visto con i miei occhi» ha aggiunto la Siegel, che poi ha spiegato le modalità umilianti della pratica. «I terroristi portano alle ragazze vestiti inappropriati, le vestono come bambole. Hanno trasformato le ragazze nelle loro bambole, con cui possono fare quello che vogliono e quando vogliono.» Non c’è molto da aggiungere a un racconto che parla da sé: rapimento, stupro sistematico, irrisione e umiliazione delle vittime. E non oso nemmeno pensare all’ipotesi che alcune di queste donne possano essere rimaste incinte nel corso delle violenze: immaginate la tragedia.

*** Ecco: tutto questo non avrebbe meritato una menzione, un pensiero, una parola, in occasione dell’8 marzo scorso? Pare di no. Curioso, non è vero? I nostri progressisti e le nostre femministe, che di solito amano descrivere i propri avversari come animati da sgradevolissimo sessismo, stavolta hanno perso la voce. Anche le personalità più impegnate peri diritti civili devono aver finito i giga, e non sono riuscite nemmeno a pubblicare un tweet, un post, un pensierino sui loro social. Il cortocircuito è totale: Israele è notoriamente l’unico Paese libero di quell’area, l’unico dove le donne siano in una reale condizione di parità, l’unico – su un altro piano – dove anche le comunità gay siano rispettate e tutelate, e dove la libertà sessuale sia ovviamente parte della libertà senza aggettivi. Ma qui in Italia e nel nostro Occidente siamo in pochissimi a volerne parlare.

Come finirà? Ho già ricordato che un segnale chiarissimo è arrivato nei mesi scorsi sul quotidiano londinese Telegraph da Robin Simcox, il consulente del ministero degli Interni britannico per il contrasto all’estremismo, che ha esplicitamente descritto Londra come una sorta di «no-go zone» per gli ebrei, cioè un’area a elevatissimo pericolo di integralismo islamico («Gli atti di estremismo sono stati normalizzati», ha denunciato Simcox). Noi non siamo ancora a quel punto, e tuttavia pare solo una questione di tempo.

*** Tra l’altro, caro studente (e, insieme a te, caro professore che insegni nelle università occidentali e hai contribuito atrasformarle in un campo di indottrinamento woke), c’è posta per te. Per te che esponi alla finestra o fai garrire al vento la bandiera della Palestina, per te che inveisci contro Israele, per te che gridi allegramente «dal fiume al mare» (sottintendendo l’eliminazione di chi sta in mezzo), per te che hai già rimosso il 7 ottobre, per te che non hai speso mezza parola per i rapiti israeliani, per le donne violentate da Hamas, per i bambini assassinati dai terroristi islamici nei loro lettini, per te che qui – nei nostri atenei – hai reso la vita impossibile e le lezioni non frequentabili ai tuoi compagni di religione ebraica e a chiunque fosse sospettabile di non pensarla come te. Ecco, ti sei meritato il plauso e l’incoraggiamento della guida suprema iraniana, il macellaio-capo Khamenei, nonché un caldo elogio da parte di quelle personcine delicate e sensibili di Al Qaeda, l’organizzazione responsabile dell’eccidio dell’11 settembre 2001. Cominciamo con Khamenei, cioè, come ti scrivevo poco fa, l’uomo al vertice del regime che incarcera-tortura-elimina gli oppositori, segrega le donne, lapida le adultere, punisce e perseguita gli omosessuali, reprime il dissenso a partire da quello dei più giovani.

Dal suo profilo su X, «in nome del Dio compassionevole e misericordioso», scrive proprio a te e ai tuoi compagnucci: «Cari studenti universitari negli Stati Uniti d’America, questo messaggio è un’espressione di empatia e solidarietà con voi». E ancora: «Voi state dalla parte giusta della storia», «avete formato un ramo del Fronte della Resistenza e avete cominciato un’onorevole lotta a dispetto della spietata pressione del vostro governo che supporta apertamente i sionisti». Gran finale: «Il supporto e la solidarietà dei vostri professori di fronte alla brutalità della polizia è uno sviluppo consequenziale. Anche io simpatizzo con voi giovani, e apprezzo la vostra perseveranza».

*** E qui siamo davanti a una tragica beffa, a uno sberleffo insanguinato. Magari, nello stesso minuto in cui questo tweet è stato lanciato, altri studenti e studentesse iraniani saranno stati oggetto di violenza e repressione per ordine dei pasdaran. Ma intanto la guida suprema si è divertita a seminare zizzania in un Occidente che crede già (e chissà che non abbia ragione, almeno su questo) senza bussola e senza princìpi, incapace di distinguere tra democrazia e terrore, e dunque luogo ideale per immettere e far circolare altri veleni.

E non basta ancora. Nelle stesse ore, caro studente (e caro professore), si sono rivolti sempre a te quei gentiluomini di Al Qaeda. In una dichiarazione, il comando generale del gruppo terrorista prima ha ribadito che «ogni musulmano è stato felice» per gli attacchi contro Israele, condotti «dalla gioventù della nazione islamica». E poi è arrivata la parte rivolta a te: «Mentre supportiamo l’assassinio degli infedeli sionisti e la loro decapitazione, apprezziamo e stimiamo il movimento dei manifestanti occidentali e degli studenti in sit-in, che attraverso le loro proteste hanno espresso rigetto per il genocidio che ha luogo a Gaza». Oplà: nella stessa frase, l’invito ad ammazzare gli ebrei e un commosso elogio per te.

E allora torno proprio a te, caro studente (e caro professore). Non provi un filo di imbarazzo nel recitare la parte dell’utile idiota di un tiranno spietato e dei terroristi islamici più sanguinari? Sei così ottenebrato, così perso nella tua atonia morale, da ritenere tutto equivalente, tutto intercambiabile? Se così fosse, ti giunga un suggerimento (non un invito, non mi permetterei mai). Se questo Occidente ti fa tanto orrore, e se invece Gaza e Teheran ti paiono luoghi di progresso e liberazione, cosa aspetti a partire? Vai, vai subito. Una sola raccomandazione: sappi che, in base alla prassi imposta da coloro che ti hanno così affettuosamente elogiato, è sufficiente un viaggio di sola andata. Il ritorno non è previsto. Auguri.

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