Doveva essere la grande battaglia contro il governo. E, per il Pd, l’occasione per ribadire lo spostamento dell’asse a sinistra. Nelle intenzioni di Elly Schlein, doveva essere una nuova occasione per dimostrare come il “suo” Pd ha cambiato rotta e, a differenza del passato, sta con i lavoratori, con la Cgil. Persino a costo di abiurare scelte fatte dallo stesso Pd negli anni scorsi. Doveva essere la mobilitazione di inizio estate del Pd, un momento per provare a unire il centrosinistra. E invece, come in tanti avevano pronosticato, si sta rivelando un boomerang, mettendo in evidenza le divisioni che ancora dividono quel campo. Perché, sui referendum dell’8 e 9 giugno, ciascun partito del centrosinistra ha una posizione differente. E in alcuni casi, vedi il Pd, anche all’interno dello stesso partito.
ORDINE MOLTO SPARSO
Provando a riassumerle, l’unico partito del centrosinistra che è per 5 sì è Avs (4 sì ai quesiti sul lavoro, che smantellano il jobs act, e un sì al quesito che propone di dimezzare da 10 a 5 il requisito necessario per ottenere, se si è adulto ed extracomunitario, la cittadinanza). Il Pd, ufficialmente, è per 5 sì. Ma i riformisti dem ritireranno solo due schede, quelle su cittadinanza e imprese appaltanti, votando sì. Non si esprimeranno sulle altre tre, quelle cruciali del jobs act, riforma che non intendono disconoscere, in quanto l’hanno votata. I turbo-riformisti di Libertà Eguale hanno un’altra posizione ancora: come ha annunciato Enrico Morando, voteranno un sì (quello sulla cittadinanza) e 4 no (quelli sul jobs act), pur senza impegnare i propri associati. Passando al M5S, qui la formula proposta è la seguente: 4 sì sul lavoro (per smantellare la riforma di Matteo Renzi) e libertà di voto su quello che riguarda la cittadinanza, perché da sempre il Movimento è contrario all’immigrazione clandestina. Più Europa, che ha promosso il referendum sulla cittadinanza, è per 2 sì (uno sulla cittadinanza, uno sul quesito che chiede di estendere la responsabilità, in caso di incidente di un lavoratore in subappalto, anche alle ditte appaltanti) e 3 no (sugli altri quesiti che riguardano il jobs act). Persino l’ex Terzo Polo ha posizioni diverse: Azione si è schierata per 4 no sui quesiti riguardanti il lavoro e un sì sulla cittadinanza, Italia Viva, invece, è per dire no al primo e al terzo quesito, mentre lascia libertà di coscienza sul secondo e sul quarto, in quanto norme modificate da leggi successive al jobs act. E sì al quesito sulla cittadinanza.
PARADOSSI
Anche il sindacato ha posizioni divergenti. La Cgil, motore dell’iniziativa referendaria, si è mobilitata per 5 sì. La Cisl, invece, ha detto di non condividere l’utilizzo del referendum su queste materie e infatti la segretaria, Daniela Fumarola, ha detto che non andrà a votare. Non inviteranno gli iscritti a non votare, ma il giudizio è negativo. La Uil ha una posizione ancora differente: sì a due quesiti (licenziamenti illegittimi e sicurezza sul lavoro) libertà di coscienza sugli altri. Dentro questa battaglia, poi, se ne combatte un’altra: la competizione per la leadership del centrosinistra. Una gara che vede tre giocatori: Schlein, Conte e, più nascosto ma non meno determinato, Landini. Forse anche per questa evidente cacofonia, lunedì il centrosinistra proverà a parlare, rispetto ai referendum dell’8 e 9 giugno, con una voce sola. L’appuntamento è ai giardini di Piazza Vittorio Emanuele II a Roma, dove, dalle 17, si terrà una “Maratona contro l’astensionismo”, promossa dalla Cgil. E insieme alla cosiddetta società civile parleranno dal palco Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni per Avs, Conte per M5S, Riccardo Magi per +Europa (che è anche presidente del Comitato promotore del Referendum sulla cittadinanza), e Schlein per il Pd. Parleranno per accendere i fari sull’appuntamento, denunciando il centrodestra, che (come tante altre volte in passato ha fatto il centrosinistra) si mobilita per l’astensione. L’altro paradosso, infatti, è che il centrodestra si è compattato su unica posizione: chiederà agli elettori di non andare a votare per non fare raggiungere il quorum. Solo Noi Moderati chiederà di esprimere 5 no. La battaglia, come è chiaro a tutti, sarà sul superamento o meno del 50% più uno dei votanti, condizione necessaria perché il referendum sia valido. Un traguardo che sembra molto difficile da raggiungere.