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Giuseppe Conte, il mea culpa: come ripudia Beppe Grillo

Uno vale uno? Anche per il leader del M5s è stata un'idiozia: l'ultimo atto della mutazione grillina
di Pietro Senaldi giovedì 8 maggio 2025

3' di lettura

L’ha detto. Giuseppe Conte all’Aria che Tira ieri ha ripudiato una delle più incredibili stupidaggini mai sentite nella politica italiana. «L’uno vale uno è un grande errore del passato», ha sentenziato il leader grillino. Il punto è che questa massima, fino a poche ore fa, è stata uno dei capisaldi della politica di Cinque Stelle, come il no al doppio mandato, il giustizialismo e il vaffa, tanto per capirsi. L’uno vale uno era la mitica formula con cui il marchese del Grillo pentastellato, ovverosia il fondatore Beppe, autoproclamatosi l’Elevato, rivendicava la propria superiorità sugli altri: io sono io e voi siete tutti uguali; cioè, per dirla con Alberto Sordi, non siete un c...avolo. Sarebbe però un errore leggere l’uscita dell’ex premier solo in chiave del calcio dell’asino nei confronti del comico fu guru, l’ennesima sconfessione, l’umiliazione del vinto. Giuseppe Conte è già oltre. Si sente un politico giovane, con più strada davanti che dietro, malgrado il doppio incarico a Palazzo Chigi nel curriculum, ed è plausibile che davvero pensi alla costruzione di una classe dirigente. Questo piano non prevede ripescaggi di grandi ex. Grillo gli ha fatto il favore di liberargli il campo, imponendo alle Politiche 2022 il divieto di ricandidarsi a molti big e l’avvocato, più abile a difendere se stesso che il popolo, non intende gettare il regalo alle ortiche. La sua piuttosto può essere letta come un’opa.

Il leader salverà i fedelissimi che lo hanno aiutato a stravincere l’assemblea costituente del dicembre scorso e qualche vip che con più devozione di altri gli ha baciato la pantofola, ma per il resto cercherà di mettere insieme una squadra che lo aiuti nel suo ambizioso progetto di diventare il punto di riferimento dell’elettorato di sinistra. Non basteranno insomma poche centinaia, e neppure qualche migliaia, di click ottenuti su internet per ritrovarsi in lista, come ai tempi pionieristici del Movimento, che con il 34% portò in Parlamento un esercito di sconosciuti, più della metà dei quali poi tradì Conte per sostenere Mario Draghi spaccando il Movimento pur di non andare a casa. D’ora in poi per essere candidati bisognerà passare l’esame dell’avvocato e del suo staff di fedelissimi, di modo da ritrovarsi poi una squadra compatta, convinta e spendibile mediaticamente in tutti i suoi componenti. Non è escluso che questo comporti anche di arricchire la squadra con qualche acquisto spericolato dalla concorrenza o con degli innesti prestigiosi dalla cosiddetta società civile. Si sa che Conte è alla ricerca di qualcuno che possa dargli una credibilità economica. L’ex premier non arriverà mai a rinnegare il superbonus, il reddito di cittadinanza, il Pnrr a debito, che sono stati i suoi disastri, però è consapevole che dal punto di vista dei conti deve rifarsi un po’ il look se vuole essere preso sul serio e sfuggire all’etichetta di essere l’avvocato del populismo più che del popolo. È un progetto a media scadenza, un paio d’anni, da qui alla prossima campagna elettorale.

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Per l’intanto il leader grillino insiste su quella che è la specialità di ogni formazione di sinistra: fare la guerra agli alleati per crescere sui loro guai. La mossa gli sta riuscendo. L’ex premier spinge il pacifismo fino a dove non lo può seguire neppure la sinistra del Pd di Elly Schlein, ovverosia oltre le soglie dell’anti-europeismo, una porta che i dem non potranno mai varcare, per ragioni ontologiche, storiche e di consenso. Aperta concorrenza anche con Alleanza Verdi e Sinistra, sul tema dell’ecologia e della lotta alla povertà. Si tratta di una stessa fascia elettorale, stimabile intorno al 22-25% dei consensi, sulla quale insistono in tre ma il leader grillino conta di essere più credibile dei dem in quanto a determinazione e libertà d’azione e più rassicurante presso l’elettorato della coppia Bonelli-Fratoianni, che alle scorse Europee nelle lista hanno avuto cadute di stile come le candidature di Ilaria Salis e Mimmo Lucano, che hanno portato voti ma sono anche molto divisive. Dalla sua, Conte ha il fatto di essere l’unico tra i leader delle formazioni di sinistra a essere padrone del suo destino, e della linea, e a non dover rendere conto a nessuno.

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