Dopo la speranza, la doccia fredda. Nella tarda serata di ieri, infatti, è arrivata la certezza che Vladimir Putin, presidente della Federazione russa, non prenderà posto al tavolo allestito a Istanbul per i colloqui di pace tra Russia e Ucraina.
Il Cremlino si è espresso al termine di una giornata durante la quale è stato mantenuto il massimo riserbo sulla composizione della delegazione che arriverà oggi in Turchia. A guidarla, scrive l’agenzia Tass, ci sarà l’assistente presidenziale russo Vladimir Medinsky. E con lui il viceministro degli Esteri Mikhail Galuzin, il capo della direzione principale dello Stato maggiore delle Forze armate russe Igor Kostyukov e il viceministro della Difesa Alexander Fomin. I negoziati, scrive ancora la Tass, dovrebbero ripartire da quel dialogo interrotto nel 2022 su iniziativa di Kiev e su istigazione dell’Occidente.
È dunque, sfumata la possibilità, e la speranza, di vedere Putin in prima persona alle trattative di pace, una presenza che avrebbe dato sostanza inedita. E dire che ieri il presidente Usa Donald Trump, mentre si trovava in volo sull’Air Force One tra Riad e Doha in Qatar (seconda tappa del suo viaggio in Medio Oriente) aveva lanciato ancora l’amo in direzione di Mosca, dicendo «potrei andare in Turchia se Putin ci sarà».
E così è sfumata anche l’ipotesi che Mosca e Washington lavorassero sotto traccia per una possibile convergenza dei due presidenti a Istanbul, lasciando all’oscuro della trama tanto l’Ucraina e il suo presidente Zelensky, quanto i suoi alleati europei. Il premier ucraino, che martedì aveva sottolineato di essere «disposto a parlare solo con Putin», sarà in ogni caso questa mattina in Turchia, ma nella capitale Ankara, per un faccia a faccia con il parigrado turco Erdogan. Il piano è che i due leader si spostino a Istanbul qualora Putin si palesasse a sorpresa sul Bosforo nei prossimi giorni, con un cambio di programma che potrebbe significare molto.
A quel punto arriverebbe con ogni probabilità anche Trump (tra Doha e Istanbul ci sono poco più di tre ore di volo). Chi invece non “giocherà” nella partita sarà l’Europa, nonostante centinaia di miliardi di euro spesi per sostenere la resistenza ucraina in oltre tre anni di conflitto. L’ex presidente Bce Mario Draghi lo ha constatato amaramente ieri, in Portogallo: «L’Ue, che pur è parte molto interessata dal tipo di pace e dagli equilibri che si determineranno tra Ucraina e Russia, sarà con ogni probabilità solo spettatrice del processo per la fine del conflitto». In queste ultime ore i leader del Vecchio continente hanno continuato a giocare una partita tutta loro, che è parsa fine a se stessa: ieri mattina hanno approvato il 17esimo pacchetto di sanzioni a carico della Russia, che ha fatto infuriare il Cremlino e potrebbe perfino aver indispettito Putin. E sempre ieri hanno annunciato il via libera alla formazione di un tribunale speciale che sarà chiamato a chiedere conto a Mosca dei crimini di guerra in Ucraina, oltre che dei risarcimenti che Mosca dovrà elargire per i danni causati con l’invasione. Quale tipo di riconoscimento giuridico questo tribunale possa avere al di là dei 27 Stati membri dell’Unione non è stato al momento chiarito.
Iniziative adottate con un tempismo tale da far pensare che siano state annunciate per sconsigliare Putin dal presentarsi a Istanbul e, anzi, per indurlo a proseguire la guerra. Come lo è stato anche l’annuncio da parte del presidente francese Emmanuel Macron di voler schierare in altri Paesi europei e della Nato, e in primis in Polonia, aerei francesi in grado di trasportare ordigni nucleari.
La strategia del silenzio di Putin ha invece, fin qui, pagato: né Zelensky né i suoi alleati europei hanno più parlato nelle ultime 48 ore di cessate il fuoco come condizione indispensabile per l’avvio dei colloqui di pace. Anche se Putin non sarà in Turchia, restano tre i punti chiave da chiarire: i territori ucraini in parte controllati dalle forze russe, la centrale nucleare di Zaporizhzhia e le vie d’acqua che consentano a Kiev di avere accesso al Mar Nero.