È vero che la vittoria del “campo largo” a Genova non è un voto politico sul governo, come ieri sera ripetevano dalla maggioranza. Dice però al centrodestra due cose importanti. La prima è una conferma di quello che la coalizione già aveva imparato sulla propria pelle: è competitiva nelle grandi città solo se trova candidati eccezionali. Da quando c’è l’elezione diretta del sindaco, Genova ha conosciuto una sola “anomalia”, quella di Marco Bucci, la cui eccezionalità è confermata dalla vittoria ottenuta a novembre nella corsa a governatore della regione. Allargando lo sguardo dove ieri non si è votato, la musica non cambia: dal 1993 a oggi Torino e Napoli non hanno avuto un sindaco di centrodestra, Milano non lo ha dal 2011, Bari dal 2004, Roma ha avuto Gianni Alemanno, durato un solo mandato. Dei dieci comuni più popolosi, solo due, oggi, hanno un sindaco di centrodestra: Palermo e Catania.
I politologi la chiamano «la legge del Frecciarossa»: nelle città raggiunte dal treno veloce, vince la sinistra. Salvo miracoli. Non funziona così solo per i sindaci. ll’indomani delle elezioni politiche del 25 settembre 2022, l’analisi dell’Istituto Cattaneo spiegava che «il centro-destra ha un vantaggio molto netto in termini di consensi nei comuni più piccoli (fino a 15.000 abitanti)». Ragionando sugli stessi dati, il Centro studi elettorali della Luiss evidenziava «la debolezza del Partito democratico al di fuori delle Ztl» e notava che «i partiti della coalizione di centrodestra sono caratterizzati da un profilo marcatamente “Village oriented”: il loro consenso diminuisce monotonicamente all’aumentare dell’ampiezza demografica del comune».
Se nelle elezioni politiche la forza del Pd nelle Ztl dei grandi centri non è decisiva sul risultato finale, è perché viene “diluita” e in molte aree superata dal voto nelle periferie e nelle province. «Nelle città con oltre 100.000 abitanti», ricordava il Cise, «abita il 23,3% della popolazione, contro il 40,1% che invece risiede in comuni inferiori ai 15.000 abitanti. Un’Italia spesso trascurata e dimenticata, ma che esiste e vota (solitamente a destra)». Morale: le elezioni politiche «si vincono in provincia».
Questo aiuta anche a capire perché, nonostante lo strapotere della sinistra nei grandi Comuni, quattordici regioni su venti oggi siano guidate dal centrodestra. Nei seggi di Genova, la sinistra aveva preso più voti anche alle regionali dello scorso ottobre, ma il successo del centrodestra a Imperia e in altri centri più piccoli era stato così ampio da colmare la differenza.
Il secondo fenomeno emerso ieri rappresenta una novità rispetto alle ultime elezioni politiche. La grande ammucchiata, l’alleanza elettorale che va da Avs a Italia Viva, riedizione di accozzaglie già viste ai tempi di Romano Prodi, non produsse un governo stabile allora e a maggior ragione non potrebbe farlo adesso. Se mettersi d’accordo per un candidato sindaco è facile, rendere compatibili le grandi ambizioni di Giuseppe Conte ed Elly Schlein e scrivere insieme un programma di governo, nel quale oggi la politica estera è la cosa più importante, rasenta l’impossibile e può essere fatto solo prendendo in giro gli elettori. Lo dimostrano proprio i referendum che si voteranno tra pochi giorni: come possono le sigle del campo largo governare insieme, se non esiste nemmeno uno di quei quesiti su cui la pensino allo stesso modo?
Il problema, però, per il centrodestra potrebbe porsi lo stesso. Nel 2022 riuscì a conquistare la maggioranza dei seggi solo grazie al risultato dei collegi uninominali, nei quali viene eletto un solo candidato, quello che prende più voti: grazie alle divisioni dei suoi avversari, tra Camera e Senato il centrodestra ne conquistò 177, l’83%, pur avendo meno del 45% dei voti.
Nel 2027 difficilmente gli faranno lo stesso regalo, a maggior ragione dopo i risultati di Genova e Ravenna. E se davvero riuscissero a mettere insieme un simile cartello elettorale, il centrodestra faticherebbe assai di più, soprattutto nei collegi del Sud, dove il M5S è più forte. Potrebbe non bastare alla sinistra per vincere, ma essere comunque sufficiente a impedire che Fdi, Lega e Forza Italia ottengano una maggioranza solida.
Sempre che le regole del gioco nel frattempo non cambino, ad esempio imponendo alle coalizioni di annunciare il candidato premier, e il centrodestra non trovi una contromossa politica efficace, che potrebbe essere anche un’accelerazione sul terreno delle riforme prima di presentarsi agli elettori.
Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani, ieri all’ora di pranzo, quando il verdetto delle urne di Genova era già chiaro agli addetti ai lavori, ne hanno discusso a palazzo Chigi per oltre un’ora, concordando che la scelta dei candidati giusti resta uno dei problemi principali della coalizione. Riprenderanno l’argomento dopo i referendum: l’appuntamento dell’8 e 9 giugno consentirà di pesare meglio la forza della sinistra, e potrebbe ridimensionare certi toni trionfalistici sentiti ieri.