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Referendum, la fronda di Gentiloni "tradisce" Schlein: "Sul lavoro voto no"

L’ex premier e fondatore dem, Paolo Gentiloni, non si allinea alla segretaria. Molti nel partito la pensano come lui
di Elisa Calessi venerdì 6 giugno 2025

3' di lettura

Alla fine è stato Paolo Gentiloni a risolvere il giallo che, da alcuni giorni, lo riguardava. Andrà a votare al referendum, non ci andrà e, nel caso andasse, cosa voterà? Come aveva anticipato Libero, l’ex premier, ex ministro del Pd e commissario Ue, andrà alle urne domenica o lunedì. Ma non seguirà la linea proposta da Elly Schlein, segretaria del Pd, ossia quella dei 5 sì. «Andrò a votare, anche per il ruolo istituzionale che ho ricoperto», ha spiegato in un’intervista a La Stampa. Ma, ha aggiunto, «sul Jobs Act per coerenza voterò certamente no». A quello sulla cittadinanza, invece, «voterò sì». Le ragioni sono le stesse spiegate da alcuni riformisti dem nei giorni scorsi: «Dovremmo occuparci del potere d’acquisto delle famiglie e degli stipendi bassi», ha spiegato Gentiloni, «piuttosto che promuovere un referendum che sembra una resa dei conti nel nostro album di famiglia».

Una posizione, quella espressa pubblicamente da Gentiloni a pochi giorni dalla consultazione, che pesa nel dibattito che divide il Pd. Gentiloni infatti non è solo un ex premier, ma è uno dei fondatori del Pd. Pur senza nominarlo, gli risponde Andrea Orlando, che pure era ministro nel governo che approvò il Jobs Act fu approvato: «Nel programma del Partito Democratico c’era scritto che era necessario superare il Jobs Act. E non era una resa dei conti con il Jobs Act, era la presa d’atto che la competizione tra i Paesi, basata sul contenimento del costo del lavoro e sulla flessibilizzazione del lavoro non era più una strategia perseguibile».
Resta il fatto che una buona parte del Pd la pensa come Gentiloni. Per esempio Giorgio Gori, europarlamentare: «Il referendum», ha detto, riferendosi ai quesiti sul Jobs Act, «è un tentativo di riavvolgere il nastro e tornare al mondo com’era prima. Bene, quello che sostengo è che è un ritorno impossibile: non si tornerebbe indietro, perché nel frattempo la legge è già stata modificata e comunque oggi i problemi sono altri».

La linea della segretaria, in ogni caso, non cambia: 5 Sì. Anche se l’obiettivo, visto che il raggiungimento del quorum è molto difficile, è ormai un altro. Ossia raggiungere e magari superare la somma dei voti raccolti da Giorgia Meloni alle ultime elezioni politiche. Lo ha detto esplicitamente Francesco Boccia, tra i consiglieri più ascoltati da Schlein: «La premier Meloni ha preso alle elezioni 12 milioni e 300 mila voti, se al referendum andassero a votare 12 milioni e 400 persone sarebbe un avviso di sfratto alla presidente del Consiglio. Significherebbe che un pezzo di Paese sul lavoro e sulla cittadinanza le sta dicendo “non ci piace come stai governando e su questo hai il dovere di cambiare tutto”». Anche se, negli ultimi giorni, al Nazareno e negli altri quartier generali impegnati nei referendum c’è una tenue speranza che la battaglia del quorum non sia del tutto persa. «C’è un clima molto importante di mobilitazione», diceva ieri il dem Sandro Ruotolo, «c’è un governo che dice di non andare a votare, solo per questo è il sesto motivo per andare a votare».

Una speranza confermata da Riccardo Magi, segretario di +Europa, che ha promosso il referendum sulla cittadinanza: «C’è una voglia di partecipazione crescente, soprattutto tra i giovani e i giovanissimi, che è il dato più nuovo di questa campagna», ha detto, aggiungendo di aspettarsi «una sorpresa nel quorum». E si dice convinto che «tutti gli italiani andranno a votare in massa, la democrazia non può essere messa a tacere», Tino Magni, senatore di Avs. E ha invitato, ieri, a votare, perché il referendum «è l’unico strumento di democrazia diretta» l’europarlamentare Dario Nardella, aggiungendo di non capire «chi invita ad andare al mare o chi, come la presidente Meloni, dice che va al seggio, ma non ritira la tessera. È come andare in chiesa e non seguire la messa o al ristorante e non mangiare niente». Peccato che, a parti inverse, era la stessa che, legittimamente, in altre occasioni, aveva suggerito di fare il centrosinistra.

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