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Anche se l'attacco è chirurgico per qualcuno Israele è sempre colpevole

Israele sta ricordando a tutti una nozione purtroppo dimenticata in Occidente: vincere contro il nemico vuol dire "vincere", non pareggiare, vivacchiare o cercare fragili compromessi
di Daniele Capezzone sabato 14 giugno 2025

2' di lettura

A margine delle valutazioni più generali sul conflitto Israele -Iran, c’è da considerare un punto di metodo che in realtà è profondamente rivelatore dei pregiudizi e della forma mentis di non pochi osservatori. Per mesi, a torto o a ragione, i critici di Israele (a questo punto possiamo dirlo: ipocritamente) avevano invocato l’assoluta preferibilità di azioni mirate rispetto a iniziative militari generalizzate e indiscriminate. Il mantra era: occorre agire in modo chirurgico, non con operazioni che potrebbero riverberarsi negativamente su vittime civili o su persone comunque innocenti. Il tema riguarda in particolare la situazione a Gaza. I lettori di Libero sanno bene come anche le innegabili sofferenze civili palestinesi in quell’area vadano messe largamente sul conto di Hamas, che consapevolmente e dolosamente non protegge nei tunnel né in altra forma la sua gente. Ma non c’è dubbio sul fatto che anche la coscienza degli osservatori pro-Israele non possa rimanere sorda agli interrogativi morali suscitati dal ferimento o dall’uccisione di persone innocenti.

Ecco, stavolta invece, nell’operazione israeliana contro l’Iran, siamo assolutamente in presenza di un’azione mirata del tipo che era stato richiesto: contro bersagli militari, contro obiettivi nucleari, contro specifiche cose-persone-apparati del regime iraniano.

Di più: contro strutture e impianti atomici rispetto ai quali la stessa agenzia Onu sul nucleare ha riconosciuto nelle scorse ore le bugie e gli inganni del regime di Teheran. Senonché, quando tali azioni l’altra notte - sono state effettivamente messe in campo da Gerusalemme, alle anime belle non sono andate più bene nemmeno queste.

Del resto, tempo fa, era già accaduto contro la spettacolare azione mirata di intelligence contro la filiera di Hezbollah realizzata attraverso i walkie-talkie e i cercapersone che furono fatti esplodere. I soggetti colpiti da Israele - in quell’operazione di mesi fa - erano a loro volta inequivocabilmente appartenenti alla rete terroristica filoiraniana: non c’erano dunque vittime civili né danni collaterali. Eppure anche allora i soliti noti si imbufalirono. E allora ricapitoliamo. Non va bene se Israele agisce per via militare, e non va bene neppure se agisce attraverso la sua intelligence.

Nel primo caso, non va bene se mette in campo azioni militari tradizionali e generalizzate, e non va bene nemmeno se realizza azioni mirate. E allora - di grazia - cosa dovrebbe fare Gerusalemme? Come dovrebbe agire? La realtà è che Israele sta ricordando a tutti una nozione purtroppo dimenticata in Occidente: vincere contro il nemico vuol dire esattamente “vincere”, non pareggiare, non vivacchiare, non cercare fragili compromessi. Vuol dire sconfiggerlo sul campo, ucciderne e catturarne i capi, sbaragliarlo militarmente, eliminare o compromettere la sua rete operativa, inibirne le comunicazioni, metterlo in condizione di non colpire di nuovo. C’è da temere che nelle nostre capitali più di qualcuno sia dispiaciuto di tutto ciò.

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