Immaginate di essere a un quiz, in stile Chi vuol essere milionario?. Sguardo fisso sul monitor e una domanda a cui rispondere. Dove puoi trovare la sinistra nel 2025? a) Accanto ai lavoratori; b) In picchetto fuori dalle fabbriche; c) Al gay pride di Budapest; d) In piazza contro il capitalismo. Senza esitazioni andate sulla soluzione c. L’accendiamo? Risposta corretta, mentre il montepremi elettorale diventa sempre più evanescente.
Inquadriamo la vicenda. Quest’oggi a Budapest, capitale dell’Ungheria, è previsto il gay pride che dovrebbe sfilare per le vie della metropoli magiara, ma che è stato proibito dalle autorità locali. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán, intervistato da Kossuth Rádió, ieri senza tanti giri di parole ha detto che «esistono leggi chiare, chiunque non rispetti le regole partecipa a un evento proibito dalla legge. Consiglio a tutti di rispettare le leggi». Se non fosse chiaro «ci saranno conseguenze legali» per chi viola le prescrizioni e comunque non si dovrebbe «raggiungere il livello di violenza fisica».
ATTACCO
Orbán ha inoltre ribadito come «il compito della polizia non è usare la violenza fisica, ma far sì che le persone rispettino le leggi». Successivamente ha incrociato un braccio di ferro con Ursula von der Leyen accusando Bruxelles di avere, nei confronti dell’Ungheria, un atteggiamento «sempre più come Mosca» quando dettava la linea e Budapest doveva obbedire pedissequamente. L’Unione Europea sarebbe capace soltanto di mostrare «segni di breznevizzazione» creando un clima, decisamente, surriscaldato.
In questo scenario appaiono i paladini dei diritti civili made in Italy armati di bandiera tricolore, anzi arcobaleno. Il campo largo vede circa 30 deputati e senatori pronti a partecipare al pride ungherese. Capeggiati, ça va sans dire, dal segretario Pd Elly Schlein, dal numero uno di Azione Carlo Calenda, oltre a una nutrita pattuglia di M5S, Avs, Italia Viva, +Europa e Cgil. Dove la politica interna, il riarmo, l’Ucraina e Gaza dividono la passione verso i diritti civili esterofili unisce. Poteva mancare il piddino Alessandro Zan? «Ci saremo per dire no a ogni deriva autoritaria: quella di Orbán perseguita le persone Lgbtqia+», afferma il dem. «Ma anche quella del governo Meloni, che considera Orbán un modello e smantella i diritti con la propaganda» attacca la senatrice M5S Alessandra Maiorino. «Non possiamo assistere in silenzio al dilagare della soppressione della libertà d’espressione in un’Europa che dovrebbe essere la fortezza dei diritti e non una fortezza militare». Ancora intontiti dagli schiaffi elettorali del referendum dello scorso 8 e 9 giugno ecco tornare all’attacco i vertici della Cgil.
«Domani- oggi, ndr- parteciperemo al Pride a Budapest. Una scelta necessaria e convinta di fronte al grave attacco portato avanti dal governo ungherese, reazionario e di estrema destra, che ha vietato lo svolgimento del Pride, conferendo al divieto una presunta legittimazione di livello costituzionale». Hanno dichiarato, in una nota congiunta, Lara Ghiglione, segretario confederale della Cgil, e Salvatore Marra responsabile dell’area delle politiche europee e internazionali del sindacato. E Calenda? Il più realista del re afferma che continuerà «a essere contro ogni teoria gender» ritenendo «inaccettabile la gestazione per altri, ma i diritti fondamentali non si mettono in discussione».
CAPOLUOGO LOMBARDO
Invece Beppe Sala, primo cittadino milanese, invierà due suoi luogotenenti, Elena Buscemi e Tommaso Sacchi, sul luogo del misfatto per supportare la truppa queer. Il tutto mentre a Milano la comunità ebraica ha detto no alla partecipazione, sempre in giornata, al pride meneghino. In una nota il direttore del Museo della Brigata ebraica di Milano, Davide Romano, asserisce che il documento politico della manifestazione del capoluogo lombardo parla di «genocidio documentato perpetrato dal governo israeliano in Palestina». Aggiungendo come non sia possibile «partecipare a un Pride che fa proprio il linguaggio dei violenti e di chi perseguita le minoranze». Guerra delle parole che cambiano a seconda della situazione nei due minuti d’odio di orwelliana memoria.