Dopo quasi tre anni, la sinistra, il suo piccolo establishment e gli intellettuali sono increduli di fronte alla prova di durata e stabilità del governo Meloni. Non è solo una questione di sondaggi, ma di congiuntura economica, ruolo internazionale dell’Italia, contesto storico, quadro geopolitico e profondo cambiamento sociale. In pieno sonnambulismo, la sinistra continua a muoversi in una realtà onirica, un mondo alternativo, auto -consolatorio della sconfitta, senza mai cogliere la portata della vittoria di Giorgia Meloni nelle elezioni del 25 settembre 2022. Non hanno elaborato il lutto e di questo passo le probabilità di un altro potente trauma, una seconda sconfitta elettorale e un’altra legislatura a tutta destra, aumentano.
Il fantasma per la sinistra di una lunga traversata nel deserto (10 anni fuori dal governo sono un passaggio storico) si sta materializzando. L’agitarsi scomposto dei suoi protagonisti è una prova di inadeguatezza culturale e panico privo di una risposta razionale.
Quali sono le ragioni del successo e del consolidamento della destra di governo post-berlusconiana? Ieri ho provato a disegnare la mappa, gli spazi di manovra dei partiti nel presente (lo spazio “Che Guevara”, lo “spazio Franceschini” e lo “spazio Farage”), oggi mi pare utile tentare di rileggere la storia, sfogliare l’album di famiglia della sinistra e approdare pagina dopo pagina a una data: il 14 ottobre 1980, il giorno della “marcia dei quarantamila” a Torino, uno spartiacque della storia italiana, la manifestazione di cittadini, impiegati, dirigenti della Fiat che colse di sorpresa l’intelligentsia politica e sindacale, spezzò l’assedio alla fabbrica, cambiò il destino delle relazioni industriali chiudendo la lunga stagione del Sessantotto. Quel giorno ci fu un corteo d’assordante silenzio, così entrò in scena “la maggioranza silenziosa” al posto dell’operaio-massa e del “popolo dei picchetti”. Secondo lo storico di sinistra Giovanni De Luna «la “marcia” assume un rilievo simbolico che trascende la specifica realtà di Torino per diventare una sorta di grande metafora interpretativa di quello che sarebbe successo in Italia alla fine di quel decennio che proprio i 40 mila avevano inaugurato con la loro iniziativa. La mia ipotesi è infatti che il crollo della prima Repubblica sia coinciso con una sorta di “rivoluzione centrista”». L’interpretazione di De Luna mi convince, perché coglie la profondità del fatto, l’ingresso in un nuovo mondo.
La «marcia dei 40 mila», le sue conseguenze inattese nella dinamica della società italiana, fu il preludio dell’era di Silvio Berlusconi e di Umberto Bossi, della trasformazione della destra in Alleanza Nazionale, l’avvio di una seconda Repubblica dove la lotta politica si concentrò sulla figura del Cavaliere, il “grande federatore”.
L’imperativo delle opposizioni e delle élite del “salotto buono” della finanza fu quello di levare di mezzo Berlusconi dalla scena, con ogni mezzo. La sua “discesa in campo” fu dirompente al punto da definire gli schieramenti, le politiche, il linguaggio, il risultato fu uno scontro trentennale tra berlusconiani e anti-berlusconiani. Questa lotta tra guelfi e ghibellini fu costellata da una serie di shock istituzionali e finanziari, un corto circuito tra politica e giustizia (di cui restano scorie radioattive) e l’ingresso dei governi tecnici, d’emergenza, esecutivi frutto di un processo di selezione della classe politica lontano dal risultato delle urne, una frattura sempre più larga tra le domande del corpo elettorale e il governo, una realtà rovesciata che ha prodotto il fenomeno dell’anti-politica (non a caso cavalcato dai giornali dell’establishment nel tentativo di chiudere la partita con Berlusconi), fino al Big Bang del Movimento Cinque Stelle. Dalla chiusura drammatica nel 2012 dell’esperienza del governo Berlusconi IV, l’Italia ha attraversato un periodo di instabilità sconvolgente, con 7 esecutivi (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte I, Conte II, Draghi) dove la sinistra è stata sempre presente, fratricida e perdente, tranne nel caso del governo Conte I, quello tra Cinque Stelle e Lega. La crisi istituzionale è stata prima di tutto un fallimento della sinistra, tema prontamente rimosso ma più vivo che mai anche nell’era della leadership di Elly Schlein nel Pd e di Giuseppe Conte alla guida del residuato bellico pentastellato, un relitto post-grillino.
La chiara vittoria di Giorgia Meloni nel voto del 2022 rompe questo ciclo di disordine, l’elettore mette il punto sulla storia e lancia un altro ciclo. Dopo tre anni di governo del centrodestra, la sinistra abita ai confini della realtà e l’elenco quotidiano di allarmi democratici sembra l’indice di un saggio sull’ossessione compulsiva (il fascismo eterno, l’Italia isolata, il patriarcato, la “capocrazia”, la tecno-destra, la repressione del dissenso, il governo guerrafondaio e via così), un male oscuro che non ha una cura perché il paziente si rifiuta di riconoscere le qualità della leadership di Meloni, spera nella manina esterna, nella rottura del patto con la Lega e Forza Italia, senza capire che l’atto fondativo di questa maggioranza è una scelta dell’elettore, non un’alchimia di Palazzo. Per la prima volta, dopo oltre dieci annidi storia politica tormentata, lo scettro è tornato nelle mani del popolo. Siamo di fronte a un altro ciclo storico forgiato dalla maggioranza silenziosa.