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Emilia Romagna, ecco il "modello Pd": conti in rosso per 378 milioni

di Simone Di Meo domenica 29 giugno 2025

3' di lettura

Ecco un’altra storia che va riscritta: la bravura degli amministratori locali del Pd. Per anni, la narrazione progressista ha disegnato l’Emilia-Romagna come un modello di efficienza gestionale, con conti in ordine e una sanità pubblica da 10 e lode. Oggi si scopre che non è affatto così.

A dirlo non è un avversario politico, ma i guardiani delle finanze pubbliche: la Corte dei Conti che ha appena certificato l’esistenza di un debito di parte corrente da 378 milioni di euro nel bilancio 2024 della Regione. Una voragine emersa nonostante un saldo formalmente in attivo, pari a 191,5 milioni, possibile solo grazie all’impiego di entrate straordinarie e a giochi di compensazione non strutturali. Per essere chiari: si può chiudere in attivo un bilancio anche se la parte corrente è in rosso, a patto che le entrate «una tantum» coprano temporaneamente le falle. Ma il problema resta e affonda nei costi ordinari, cioè quelli che servono ogni anno per mandare avanti l’ente, dai servizi alla sanità.

SQUILIBRIO

Ed è proprio la sanità, a lungo fiore all’occhiello del «feudo rosso», a rappresentare il cuore della crisi. Lo squilibrio registrato dalla Corte non è solo questione ragionieristica: è l’esito di un sistema che per anni ha accumulato spese senza coperture. A sorpresa, persino, della stessa Regione Emilia Romagna, come hanno candidamente confermato i magistrati contabili: «Non pensavano che il debito fosse così alto». Il che pone due interrogativi: chi controllava davvero i flussi di spesa in uscita dalla Regione? E i consiglieri regionali che approvavano i bilanci, li leggevano?

A provare a tappare la falla è stato il nuovo governatore Pd Michele de Pascale, subentrato a Stefano Bonaccini, oggi presidente nazionale dei Dem. Per rimediare al rosso ha alzato le imposte: ticket sui farmaci, Irap, Ires, bollo auto e Irpef. Una scelta impopolare ma inevitabile, dice de Pascale. Eppure, come ha spiegato il presidente della sezione di controllo della Corte, Marcovalerio Pozzato, «serve una svolta strutturale senza però intaccare i livelli essenziali di prestazione. In Emilia-Romagna i servizi ai cittadini devono restare al primo posto». In altre parole: non basta aumentare le tasse. Bisogna tagliare sprechi e inefficienze.

EREDITÀ

L’eredità lasciata da Bonaccini mostra ora tutti i suoi limiti. E le scelte del suo successore sembrano, se non una sconfessione esplicita, quantomeno una fastidiosa presa di distanza. L’imbarazzo nel Pd è palpabile, anche perché questo scivolone contabile mina alla radice uno dei pochi argomenti forti rimasti ai Democrats: la presunta superiorità gestionale nei territori storicamente amministrati.

Di fronte alle critiche, de Pascale ha tentato di rassicurare i cittadini: «Non ci saranno ulteriori aumenti delle tasse». Tuttavia, le sue buone intenzioni non chiariscono: perché la parte corrente ha bruciato 378 milioni di euro? E perché si è reso necessario ricorrere a risorse straordinarie? L’unica spiegazione avanzata dal governatore è che vi sarebbero state maggiori prestazioni. Ma senza numeri e analisi dettagliate, questa giustificazione suona come una cortina fumogena.

CRITICHE

D’altronde la sanità è da tempo il punto critico e la camera di compensazione delle tensioni politiche dell'Ente. Come emerse chiaramente con il caso di Licia Petropulacos, ex direttrice generale del settore, che nel febbraio 2022 sbottò con parole pesanti: «Non sono i sindacati né la politica a dire che scelte si fanno in sanità [...] Sono stanca di questo schifo, questo è solo l’ultimo episodio di una catena inaccettabile. Non ce la faccio più. Io lavoro per i cittadini, non faccio schifezze. Questa è una gestione della cosa pubblica che non condivido». Uno sfogo che all’epoca venne derubricato a questione interna su una circolare Co vid, ma che oggi appare un campanello d’allarme ignorato. La gestione sanitaria dell’ente locale, celebrata dai media come esempio virtuoso, era in realtà sull’orlo del commissariamento. E nessuno l'ha mai voluto ammettere.

Il senatore Michele Barcaiuolo, coordinatore regionale di Fratelli d’Italia, affonda il colpo: «La sanità emiliano -romagnola resta ottima, ma non per merito delle scelte politiche, anzi nonostante le scelte politiche. Ospedali chiusi, sprechi e strutture mal gestite hanno prodotto diseguaglianze territoriali e inefficienze», aggiunge, «smentendo il racconto dell’eccellenza sbandierata in questi anni». Il consigliere regionale Giancarlo Tagliaferri (Fdi) rilancia: «Serve un commissario, soprattutto a Piacenza, dove l’Ausl è in grandissima difficoltà».

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