Dicono alcune compagne della sinistra che non va bene. Fanno sapere che sono indignate. Si sono risentite per lo sportello aperto a Roma (dall’unico municipio a guida di centrodestra) a favore degli uomini maltrattati o oggetto di violenza. Qui – per quel poco che vale non siamo d’accordo: se c’è una violenza o un maltrattamento e la vittima è per caso un maschio (può succedere), ci sfugge la ragione per cui, secondo le valorose compagne democratiche, il malcapitato non debba meritare alcuna solidarietà. Misteri del progressismo. Ma c’è un mistero ancora più imperscrutabile. E si tratta – qui non c’è nessun maschio nella parte della vittima – della scena milanese che vi abbiamo raccontato ieri: nel grande raduno musulmano per l’Ashura, gruppi di uomini di religione islamica erano raccolti in preghiera a battersi il petto, mentre le donne – già completamente velate – stavano rinchiuse dentro recinti artigianali, l’equivalente di una rete da pollaio, comunque celate dietro drappi oscurati e oscuranti, nella loro condizione – tale è l’inequivocabile messaggio – di esseri impuri e inferiori. Ecco dunque il mistero: su questo le donne progressiste (e pure gli uomini) non hanno nulla da dire?
Che altro deve succedere – ci domandiamo – affinché suoni la sveglia? Quale altra forma di palese discriminazione siamo disposti ad accettare, anzi a subire, sul nostro territorio? O dobbiamo dedurre che su porzioni di suolo italiano la Costituzione e il citatissimo principio di uguaglianza siano già disapplicati e disapplicabili, tacitamente sostituiti dalla legge islamica? Giuridicamente, lo spettacolo è insostenibile. Non esiste infatti alcun concordato né alcuna intesa tra lo Stato italiano e le comunità islamiche: in primo luogo, perché esse non hanno trovato un accordo al proprio interno su chi debba rappresentarle; e in secondo luogo, perché hanno pervicacemente detto no a richieste minime di trasparenza sulle loro fonti di finanziamento. Resta ferma la possibilità – ci mancherebbe – di esercitare lo stesso il proprio culto: ma non di attuare comportamenti discriminatori vietati dalla nostra legge e dalla Costituzione italiana.
Moralmente, poi, la cosa è ancora meno difendibile. Si può – per puro amore della teoria – evocare la libertà di ciascuno, e quindi anche la libertà di una donna islamica di subire un trattamento degradante. Ah sì? Ma guardiamoci negli occhi: esiste veramente qualcuno in grado di affermare senza tema di smentita che le donne ritratte nella foto fossero tutte davvero libere? Libere – intendo – di mettere il velo ma anche di non indossarlo? Libere – ancora – di posizionarsi in modo diverso durante una sessione di preghiera? Davvero vogliamo raccontarci che tutto questo avvenga sempre su base volontaria? Non scherziamo: ogni giorno le nostre cronache sono colme di storie dolorose: di ragazze islamiche picchiate – sempre su suolo italiano – solo per il fatto di avere il capo scoperto, per un filo di trucco, per una simpatia verso un ragazzo, per il loro desiderio di vivere secondo standard occidentali. Ma evidentemente la storia della povera Saman, trucidata a Novellara, non ci ha insegnato nulla, temo Politicamente, infine, si tratta di uno schiaffo all’ipocrisia di troppi.
A sinistra si viene da anni di rumorose campagne contro il «patriarcato» e a difesa del «corpo delle donne». Ecco: se però il patriarcato è musulmano, scatta l’amnistia; e se il corpo femminile è islamico, subentra l’amnesia. Inutile girarci intorno: questo doppio standard dei nostri progressisti (e delle nostre femministe), i loro silenzi, il loro parlar d’altro, il loro far finta di non vedere e di non capire, sono semplicemente rivoltanti.