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Il Pnrr di Conte ci indebita per 30 anni

di Michele Zaccardi venerdì 18 luglio 2025

3' di lettura

 Dovevano essere gratis, come il Superbonus. E invece, a dispetto di quanto va dicendo Giuseppe Conte da quattro anni a questa parte, magnificando i successi del suo ultimo governo, i finanziamenti europei del Pnrr sono debito. E andranno dunque restituiti. Per questo, nel nuovo bilancio comunitario per il 2028-2034 proposto mercoledì dalla Commissione Ue si stanziano 24 miliardi di euro all’anno per un totale, nel settennato di riferimento, di 168 miliardi. Risorse che serviranno appunto a rimborsare i prestiti contratti da Bruxelles per finanziare i Pnrr nazionali. Per capire serve però una premessa. Dopo il Covid, nel luglio del 2020, è stato varato il Next Generation Eu, il fondo comune da 750 miliardi a cui gli Stati hanno attinto per finanziare i loro Piani di ripresa e resilienza (Pnrr). Il programma si compone di una parte di prestiti (360 miliardi) che i Paesi membri dovranno restituire entro il 2058, e una parte di sovvenzioni (390 miliardi). Si tratta di risorse che la Commissione ha raccolto indebitandosi sui mercati e che, tra tre anni, dovrà restituire. Il rimborso inizierà dunque nel 2028 e durerà fino al 2058. E per questo il bilancio Ue stanzia 24 miliardi di euro all’anno, comprensivi sia della restituzione del capitale che degli interessi. I costi degli interessi stimati si basano sui tassi di mercato correnti, e includono un “buffer”, un cuscinetto, per tenere conto dell’incertezza sull’evoluzione futura dei tassi (visto che nel frattempo l’Ue procederà anche a rifinanziare alcuni prestiti contratti).

Per far fronte quindi agli esborsi senza aumentare i contributi al bilancio dell’Unione dei Paesi membri, la Commissione ha proposto di incrementare le proprie entrate, introducendo nuove tasse (come un’aliquota addizionale sulle accise su tabacco e derivati, un’imposta sulle imprese che superano i 100 milioni di euro di fatturato) e aumentando alcuni balzelli già in vigore (come certificati sulle emissioni che le aziende devono acquistare), per un totale di 58 miliardi di euro l’anno. Insomma, il punto è che tutte le risorse che gli Stati hanno ricevuto andranno in qualche modo restituite. Perché, mentre i prestiti erogati verranno rimborsati all’Ue direttamente dai governi nazionali, per le sovvenzioni sarà la Commissione a sostenere l’onere, usando però le nuove entrate previsti dal bilancio. E che graveranno su famiglie e imprese europee. Altro che gratis. Lo ha spiegato in conferenza stampa mercoledì la stessa von der Leyen. «Proponiamo nuove fonti di entrate per il bilancio dell’Ue» con l’obiettivo di «rimborsare il nostro prestito condiviso per la ripresa» e «soddisfare le nostre priorità moderne» senza gravare sui bilanci nazionali.

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In tutto questo l’Italia, tra gli Stati membri, è quello che ha chiesto e ottenuto ai tempi del governo Conte 2 la fetta maggiore di fondi, avendo avanzato la richiesta di ricevere l’intero ammontare sia dei finanziamenti a fondo perduto (70 miliardi) destinati a Roma, sia dei prestiti (121 miliardi). Si tratta dunque complessivamente di 191,5 miliardi, poi saliti, in seguito alla revisione voluta dal governo Meloni, a 194,4 miliardi. Quanto al nuovo budget comunitario, come ha la presidente della Commissione, è sicuramente molto «ambizioso», visto che in valore assoluto si gonfia dai 1.200 miliardi del settennato precedente a 2mila miliardi. Un aumento che serve a finanziare nuovi progetti europei (come il fondo per la competitività da 410 miliardi), ma che in buona parte finirà a rimborsare i prestiti contratti per il Next Generation Eu, la scatola che finanziai Pnrr nazionali. Il bilancio comunitario sale infatti, in rapporto al reddito lordo degli Stati Ue, dall’1,13 all’1,26%. Ma se si scorporano appunto le spese (168 miliardi) che l’Europa dovrà sostenere per i rimborsi, ecco che la cifra si sgonfia all’1,15%. Di certo c’è che la proposta della Commissione ha scontantato tutti. Per i frugali del Nord, Olanda e Germania in primis, il nuovo budget è troppo alto, mentre i contadini lo considerano un attacco al settore, visto che accorpa la politica agricola comune in un unico fondo da 865 miliardi, destinato a diverse esigenze, e taglia di circa il 20% le risorse per il comparto, che scendono a 300 miliardi contro i 368 previsti per l’attuale settennato (2021-2027). Inizia ora un processo negoziale che durerà due anni. Il budget dovrà essere approvato dal Parlamento Ue, dove è richiesta la maggioranza assoluta, e dal Consiglio, dove serve l’unanimità dei 27 Stati membri. E a giudicare dalle prime reazioni non sarà un percorso facile.

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