Elly Schlein si sta perdendo nel campo largo. A forza di aprire, mediare, accordarsi, la segretaria del Pd, nel quadro delle Regionali del prossimo autunno, appare un puntino sempre più piccolo e ininfluente. La leadership del partito di gran lunga più forte della coalizione avrebbe dovuto regalare alla Nazarena, sulla carta, il ruolo naturale di centro degli assi cartesiani dell’alleanza. Avrebbe dovuto lei vagliare, e quindi benedire, i candidati alla presidenza. La realtà fotografa invece una situazione nella quale Elly non è riuscita a imporre neppure una figura riconducibile alla propria area. Conseguenza, i candidati, non suoi, fingono tutti di avere il mal di pancia per dettarle le loro condizioni.
VOCE GROSSA
Ieri ha fatto la voce grossa Antonio Decaro, l’ex sindaco di Bari, candidato in pectore a governatore della Puglia. «Non sono candidato» ha detto, «lavoro all’Europarlamento», dove è stato eletto un anno fa grazie a mezzo milione di preferenze personali, «non tutte di cittadini pugliesi», aveva precisato la settimana scorsa. Davvero si ritira? Nel Tavoliere ancora non ci credono. In tanti sono convinti che minacci di non correre per costringere Elly a imporre a Michele Emiliano di non candidarsi. Non è la prima volta che Decaro paventa questa possibilità. Ieri però è stato più puntuto: «Stiamo lavorando a Bruxelles al piano per l’ambiente e contro il cambiamento climatico», ha spiegato. Però ha anche aggiunto: «Sono un pragmatico...». Come dire, attendo nuove dal Nazareno e da Emiliano, io non mi sposto. Giovedì il Pd regionale si radunerà, la speranza era formalizzare la discesa in campo dell’ex sindaco, ma a questo punto la cosa non avverrà. Come difficilmente Schlein farà a Emiliano la telefonata per fermarlo che Decaro le aveva chiesto e che finora non ha voluto fare. Il governatore uscente tiene duro. Emiliano si sente spalleggiato, quasi vittorioso a questo punto. È convinto non solo di aver sventato il parricidio da parte del suo figlioccio politico ma addirittura di avergli impartito una lezione, dimostrandosi più forte.
È infatti probabile che ora la Nazarena stia a guardare. Nel partito c’è chi spera che alla fine Decaro scelga di non presentarsi, cosa che gli suggeriscono di fare alcuni dem nazionali riformisti, nella speranza che il bell’Antonio possa sfilare a Elly, un domani, la segreteria. Nomi alternativi per vincere comunque ci sono: il vicepresidente in carica, Raffaele Piemontese, ma soprattuttoLoredana Capone, presidente del Consiglio Regionale, poltrona a cui ambirebbe don Michele, nonché in linea con la segretaria, e sarebbe l’unica tra i candidati. Schlein aveva messo sul piatto per Emiliano la candidatura al Parlamento nel 2027, Decaro gli aveva ventilato un assessorato, ma il governatore vuole l’incasso subito, in virtù di un plebiscito personale e senza dover aspettare o ringraziare nessuno. Ha tenuto duro e forse l’ha vinta.
Solo un po’ meno complicata la situazione in Campania, dove a breve sarà ufficializzata la candidatura dell’ex presidente della Camera di M5S, Roberto Fico. Il governatore uscente, Vincenzo De Luca, non lo voleva, ma il suo incontro con Giuseppe Conte, ha risolto il problema. I due si sono accordati sulla testa di Schlein, che ha dovuto abbozzare, salvo poi incontrarli ieri sera. Il vertice, il primo dopo una serie di bilaterali, spiega una nota congiunta, «mira a definire il perimetro di un confronto programmatico» che «partirà nei prossimi giorni». Per sostenere il campo largo don Vincenzo ha preteso due liste, due assessori, una promozione nel partito per il figlio onorevole, Piero, e il via libera alla sua candidatura a Salerno. Le ultime due condizioni sono state accettate, le prime sono ancora in discussione. Probabile che finirà con una lista di De Luca, “A testa alta”, e due assessori, uscenti, che saranno confermati. Il primo è il fedelissimo Fulvio Bonavitacola, ora all’Ambiente, la seconda è Lucia Fortini, all’Istruzione. Per loro il governatore Sceriffo pretende Sanità e Rifiuti, tuttavia molto dipenderà dal risultato della lista.
Un vantaggio, dall’intesa, Schlein ce l’ha: don Vincenzo non chiederà a Franco Picarone, campione di preferenze, di candidarsi per lui, lasciandolo al Pd, che potrebbe restare orfano del proprio capogruppo in Consiglio Regionale. Mario Casillo infatti, altro portatore di voti, ancora non ha sciolto le riserve; dicono punti direttamente a un assessorato, senza passare dalle urne, o alla guida regionale del partito.
SETTIMANA DECISIVA
Potrebbe essere la settimana decisiva per l’ufficializzazione della ricandidatura di Eugeno Giani in Toscana, imposto cinque anni fa da Matteo Renzi. La segretaria non lo voleva e faceva leva su veti di M5s e Avs per imporre l’onorevole dem Emiliano Fossi, sindaco di Campi Bisenzio, figura modesta ma a lei totalmente riferibile. Giani però è stato furbo, ha giocato d’anticipo, ha mobilitato un centinaio di sindaci, anche dei Comuni più rossi, ha chiesto e ottenuto l’appoggio della Cgil e quando si è presentato al Nazareno per incontrare la segretaria era blindato. Lei non ha potuto che confermarlo, però l’ha avvertito che non toccherà palla: assessori, decisioni, tutto, il presidente è già commissariato prima ancora di essere, eventualmente, rieletto. Dice tutto la ripresa che lo vede uscire dalla sede Pd isieme a Igor Taruffi, il gendarme di Elly, che lo teneva sottobraccio come fanno i carabinieri con chi è arrestato, impedendogli di fare commenti oltre il «va tutto benissimo».
Non bene anche nelle Marche, dove Matteo Ricci, ex sindaco di Pesaro, sta iniziando a pensare di aver fatto una sciocchezza a correre per la presidenza. È arrivato all’Europarlamento grazie a una caterva di voti, ma non gli basta. Nella sua regione sono convinti che ragioni in grande e che la candidatura per lui fosse una tappa necessaria verso la corsa alla segreteria, anche lui. Solo che se stecca, addio sogni di gloria. Sulla carta pensava di vincere facile, ma Francesco Acquaroli si sta dimostrando avversario tosto. I sondaggi del Pd danno il governatore uscente indietro di un punto, quelli veri lo danno avanti di quattro. È comunque aperta, anche se ieri ad Ancona, alla conferenza stampa nella quale Ricci ha presentato il tour elettorale c’erano una ventina di persone, tutti addetti ai lavori. “Cambio Marche” recita il suo slogan. Forse Matteo sarà costretto a cambiare prospettiva, ma non residenza: vietato disdire l’affitto in quel di Bruxelles. Alla fine, delle cinque Regioni in cui si andrà a votare, la sola nella quale il centrosinistra presenterà un candidato che per la segretaria non rappresenti una sconfitta politica o una minaccia è il Veneto, la sola dove il campo largo non può giocarsela, è destinato a perdere. Il candidato alla sconfitta è Giovanni Manildo, ex sindaco di Treviso, avvocato. Per carità, non che egli sia riferibile direttamente a Schlein, essendo viceversa catalogabile tra i riformisti. Tuttavia, poiché il legale appartiene alla sinistra cattolica, con la sua forte impronta personale sociale e dialogante, è quello che le è meno lontano, o comunque il più compatibile con la linea unitaria della Nazarena.