«Io penso che Sala debba andare avanti. Se poi la sua maggioranza, come sospetto, cercherà di bloccarlo e ocheggiare a ciò che dicono le procure, è chiaro che non ci sarebbero più le condizioni per restare. Questo rischio è molto forte». Parola di Carlo Calenda. Il leader di Azione è consapevole che il centrosinistra a trazione riformista è ormai un lontano ricordo ed è destinato a scomparire anche a Milano, laboratorio di quel renzismo di cui lo stesso Calenda è figlio. È ormai cosa nota che il capoluogo lombardo sia stato promesso da Elly Schlein a Pierfrancesco Majorino, suo uomo di fiducia in città e strenuo promotore dell’alleanza di sinistra-sinistra con Avs e grillini. In sostanza, la riscossa del partito del no, l’antitesi di ciò che rappresenta Milano. E il peggio del peggio secondo il “Calenda pensiero”. Che fare quindi?
L’assist, dopo la tempesta giudiziaria che si è abbattuta sulla Madonnina con lo scoppio dell’inchiesta sull’urbanistica, è prontamente arrivato da Antonio Tajani. Il vicepremier ha lanciato un appello ad Azione: trovare insieme al centrodestra un candidato civico per vincere Milano e sottrarla alla svolta massimalista di Pd e rossoverdi. Una prospettiva che intriga, ma non percorribile da un giorno all’altro. «Io pure penso che per Milano ci vorrà un candidato civico», è la risposta di Calenda intervenuto a Omnibus su La7.
Ad oggi però la priorità, almeno a parole, non può che essere per l’attuale maggioranza Sala: «Noi cercheremo di costruire una coalizione che abbia un candidato riformista, in grado di gestire una città che è il centro economico del Paese». Possibilità di riuscita? Molto basse vista la riscossa dei compagni meneghini sotto la segreteria Schlein e il lavoro certosino della procura per smontare il decennio Sala. Ecco perché l’ex ministro si lascia aperta un’altra strada: «Se non ci riusciremo, vedremo».
Un «vedremo» che guarda a destra, con la regia di Forza Italia. La coalizione allargata a Calenda non sarebbe una novità assoluta. Erano stati proprio gli azzurri, con il governatore Vito Bardi (guarda caso un ex generale, quindi un candidato civico, ndr) a convincere Azione a mollare il campo largo e a schierarsi con il centrodestra alle regionali in Basilicata del 2024. Una scelta rivelatasi doppiamente vincente: oltre al successo a valanga sulla sinistra, Azione raccolse il 7.5% e ottenne la presidenza del Consiglio regionale.
Non è andata altrettanto bene invece quando Calenda ha scelto di prendere posto nel carrozzone a rimorchio di un candidato marcatamente di sinistra, proprio come Andrea Orlando in Liguria. In quell’occasione, oltre alla vittoria di un profilo più moderato come quello di Marco Bucci, Azione racimolò un misero 1.7%. Per intenderci, alle europee di pochi mesi prima, il partito ottenne più del doppio nella regione.
Se due indizi fanno una coincidenza, la prova potrebbe arrivare subito dopo l’estate. Calenda ha già annunciato che nelle Marche non sosterrà nessun candidato. Da un lato Matteo Ricci, l’uomo scelto da Pd e M5s, si è schierato contro i termovalorizzatori, posizione ritenuta inaccettabile per Azione secondo cui «senza infrastrutture non si governa». Dall’altro lato c’è invece l’uscente Francesco Acquaroli di Fdi, «una persona che viene da una storia talmente diversa da noi che è molto difficile appoggiarlo». Ma la prova del nove sarebbe in Campania. Il leader di Azione ha annunciato che non sosterrà Roberto Fico- «è andato al termovalorizzatore di Acerra, che ha salvato la Campania dall’emergenza rifiuti, e ha detto che la prima cosa che vuole fare è chiuderlo. Devi essere fuori di testa per dire una cosa del genere», è stato il commento di Calenda-, e non ha chiuso al centrodestra. «Vediamo chi candidano: se sarà un estremista non lo voteremo, però vediamo». Un invito neppure troppo velato ad aprire un tavolo insieme ora che De Luca e Schlein hanno deciso di regalare la regione al Movimento 5 Stelle che, fino a ieri, «era all’opposizione del Pd».
In attesa degli sviluppi elettorali, l’intesa fra Calenda e il centrodestra prende piede anche in Parlamento, dove sono molteplici le convergenze, dal capitolo nucleare alla riforma sulla giustizia. Proprio ieri, infatti, è stata approvata al Senato la separazione delle carriere con il voto favorevole di Azione. Il percorso verso Milano 2027 resta comunque lungo e tortuoso, ma le aperture sono evidenti da ambo le parti. L’incursione dalla vicepresidente di Azione Giulia Pastorella all’ultimo congresso cittadino di Fi non è passata inosservato, così come l’idea del coordinatore lombardo degli azzurri Alessandro Sorte di offrire la poltrona del vicesindaco ai calendiani. Ieri poi è arrivato un passo indietro importante: Maurizio Lupi, lanciato da Ignazio La Russa come possibile candidato sindaco, ha annunciato di non essere disponibile a correre. Una mossa che apre la strada a quel candidato civico che può mettere d’accordo tutti. Pure Salvini e Calenda che, non più tardi di due mesi fa, aveva spiegato: «Con il candidato giusto digerisco anche Lega o M5s». Più chiaro di così... Ora il centrodestra non può e non deve sbagliare.