Era il 2 agosto ma sembrava una specie di 25 aprile bis. Con i comizi contro il centro destra, i fischi e le contestazioni agli esponenti del governo, le richieste a Giorgia Meloni di prendere le distanze da tutto (dal fascismo, dal Msi e possibilmente pure da Fratelli d’Italia e da se stessa...). Il solito vizietto della sinistra di usare le commemorazioni per colpire i suoi nemici, condendo il tutto con una buona dose di balle. Un giochino che, ormai è chiaro, non funziona più...
Partiamo dall’inizio. Ieri, 2 agosto 2025, era il 45° anniversario della Strage di Bologna, quando una bomba esplose alla stazione facendo 85 morti e 200 feriti. E, come detto, c’è chi ha voluto trasformare le celebrazioni in una manifestazione anti-governo, con contestazione al ministro Anna Maria Bernini, lì a rappresentare l’esecutivo, e fischi quando è stato nominato il presidente del Senato, Ignazio La Russa. Il primo ad andare all’attacco, e non è una sorpresa, è stato Paolo Bolognesi, storico presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, alla sua ultima uscita prima di passare il testimone a Paolo Lambertini. Bolognesi, ex deputato del Pd, se l’è presa con Fdi al completo, da Meloni a La Russa, da Francesco Lollobrigida a Paola Frassinetti.
L’accusa, sostanzialmente, è quella di non voler rinnegare l’esperienza del Movimento sociale, che per lui sarebbe stato una specie di gruppo terrorista: «È un fatto che tutti gli stragisti italiani passarono dal Msi, partito costituito nel 1946 da esponenti della Repubblica sociale». Avendo fallito nel tentativo di addossare alla Meloni le colpe del fascismo mussoliniano, ora provano a farle rinnegare la fiamma che compare nel simbolo del suo partito. Peccato che, inutile dirlo, la lettura di Bolognesi, oltre che faziosa, sia semplicemente falsa. È vero che alcuni terroristi di destra hanno avuto un passato nel Msi, così come, specularmente, tanti brigatisti rossi venivano dal Pci (Gallinari e Franceschini, per fare due nomi). Ma il Msi, al contrario, ha avuto un ruolo nel cercare di arginare il terrorismo, per esempio attraverso i colloqui tra Giorgio Almirante ed Enrico Berlinguer di cui ha parlato in un libro Antonio Padellaro (ops, pure Berlinguer fiancheggiatore degli stragisti?). L’importante funzione del Movimento sociale all’interno della nostra democrazia è stata riconosciuta anche da diversi post-comunisti. Uno su tutti? L’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Che, nel 2014, così ricordava Almirante: «Ha avuto il merito di contrastare impulsi e comportamenti antiparlamentari che tendevano periodicamente ad emergere, dimostrando un convinto rispetto per le istituzioni. È stato espressione di una generazione di leader che hanno saputo confrontarsi mantenendo un reciproco rispetto a dimostrazione di un superiore senso dello Stato» (ancora ops, perfino Napolitano amico dei sovversivi?). Altri tempi. Ora, per colpire la Meloni, bisogna solo dipingere la destra come un’accozzaglia di banditi.
Data la linea da Bolognesi, sono arrivati a ruota tutti gli altri progressisti. «Quello che dicono i familiari delle vittime», ha spiegato la segretaria dem Elly Schlein, presente a Bologna, «è nelle sentenze. Invito tutti a leggere quelle sentenze, anche chi governa». La strage, ha rincarato la dose il leader grillino Giuseppe Conte, «è stata realizzata da neofascisti, con il complice tradimento di apparati dello Stato. Coloro che rappresentano ai vari livelli le istituzioni dovrebbero adoperarsi per evitare che continuino ad essere diffuse mezze verità».
«Furono», ha tuonato il solito Angelo Bonelli di Avs, «la loggia P2, il terrorismo nero, i servizi segreti deviati e le connivenze politiche a mettere la bomba. E oggi Licio Gelli ha la sua vittoria con la riforma da lui scritta: la separazione delle carriere» (Gelli scrive, Meloni esegue, secondo Bonelli...). E poi Maurizio Acerbo di Rifondazione comunista: «Non ci sono più dubbi sulla matrice fascista e atlantista della strage» (cos’è, un tentativo di tirare in mezzo pure Trump?).
Ma le polemiche non sono finite qui. Perché a fare impazzire i compagni è stata anche la dichiarazione del premier. Questa: «Il 2 agosto di 45 anni fa il popolo italiano ha vissuto una delle pagine più buie della sua storia. Il terrorismo ha colpito con tutta la sua ferocia la città di Bologna. Oggi ci stringiamo ai familiari delle vittime e a tutti i bolognesi. Il governo continuerà a fare la sua parte per arrivare alla piena verità sulle stragi, a partire dall’impegno per il versamento degli atti declassificati all’Archivio centrale dello Stato». Tutto ok? Eh, no... perché manca l’aggettivo “fascista” riferito al terrorismo.
E questa, per la sinistra, è una provocazione. Furfaro (Pd): «Ancora una volta la Meloni si è rifiutata di pronunciare la parola “fascismo”. È la dimostrazione di un’incompatibilità morale e politica col ruolo che ricopre». Fratoianni (Avs): «Anche quest’anno la parola “fascista” scompare: è più forte di loro». Ce ne sarebbero tanti altri, ma concludiamo con la surreale nota della delegazione M5S al Parlamento europeo: «Le istituzioni europee riflettano sull’ambiguità dimostrata dalla Meloni, che tace sulle connessioni fra il partito nel quale ha militato e sanguinosi attentati come quello alla stazione di Bologna che miravano a destabilizzare lo Stato e la democrazia italiana». Alè, pure la strage è colpa di Giorgia. E l’opposizione ha perso un’altra occasione per provare ad essere credibile...