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Il fallimento di Pd e M5s in tre atti

di Mario Sechi venerdì 19 settembre 2025

4' di lettura

Tre fatti e un filo rosso. Sono tutti impaginati e mi danno l’occasione per unire i puntini e trarne qualche considerazione utile per orientarsi in quello che solo in apparenza è un caotico divenire.

Parto dai fatti: 1) L’abbattimento ieri al Brennero del diaframma del tunnel ferroviario che collega l’Italia all’Austria è un mirabile esempio di ingegneria, ambizione e capacità di pensare al futuro. Giorgia Meloni e Matteo Salvini ieri hanno battezzato il traforo dei record, 64 chilometri di lunghezza, la galleria su strada ferrata più lunga del mondo. Non solo si può fare, ma è un formidabile incentivo a realizzare il ponte di Messina che Salvini giustamente presenta come traguardo delle capacità italiane del Ventunesimo secolo. Senza grandi opere non c’è un grande Paese, non date retta alla sinistra slow food, non basta il turismo, il futuro non si disegna all’ultima spiaggia a Capalbio, l’Italia deve produrre acciaio, costruire ponti, strade, reti, abitazioni, mettere insieme il soft power e l’hardware, il pensiero con il cemento.

2) Alberto Nagel si è dimesso dalla guida di Mediobanca. È la caduta degli dèi, la parabola di un banchiere che non ha saputo interpretare il presente, convinto di poter agire ancora nel passato in cui contano più le relazioni delle azioni. Nagel è uno sconfitto dalla storia, quando molti mesi fa scrissi che non avrebbe avuto successo e che la sua posizione era a dir poco temeraria, molti mi dissero che non potevo mettermi contro Mediobanca. Ho conosciuto amici e collaboratori stretti di Guido Carli, della vecchia Mediobanca so quel che mi raccontavano conoscenze poi consolidate nell’amicizia, Nagel non è mai stato l’erede di Enrico Cuccia, ne ha rappresentato una versione hackerata dall’arroganza. La sua uscita segna la fine di un modello che era tramontato da tempo e la cosa più importante- un perfetto contrappasso dantesco- è che Nagel ha perso di fronte al mercato, quello che invocava nei discorsi e negava nei fatti. Tutta la sua azione in difesa dell’istituto era in realtà l’arroccamento di un piccolo establishment di “rentiers” della finanza protetti da una politica di nani. Il governo Meloni ha questo merito: ha restituito lo scettro agli azionisti (che dovranno farne buon uso), invertendo il motto di Cuccia che diceva «le azioni non si contano ma si pesano». È successo esattamente il contrario, le azioni si contano.

3) Il fatto politico del giorno è la scena incredibile dei parlamentari della sinistra che prendono d’assalto i banchi del governo, cercando la scazzottata con il centrodestra, colpevole di aver fatto passare alla Camera la riforma della separazione delle carriere dei magistrati. Non è la prima volta che accade, ma è un segno dei tempi che tutto questo sia accaduto mentre il Pd cercava di rovesciare su Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani l’accusa di fomentare l’odio. Non poteva esserci smentita più grande nella esibizione da ring di Pd e soci. È la conferma dell’esistenza di un problema non risolto: l’intolleranza della sinistra che sfocia in violenza. Sei deputati dell’opposizione cercano lo scontro fisico di fronte al normale processo democratico, provate a immaginare cosa può accadere in un mondo dove falliti, disadattati, psicopatici, odiatori seriali, gente che vede il fascismo sotto le lenzuola, si trovano di fronte degli onorevoli che si comportano in modo disonorevole.

Elencati i tre fatti è giunto il momento di prendere in mano il “fil rouge”, riannodare il filo rosso che lega tutto e conduce verso il mondo nuovo nato in Italia tre anni fa con la vittoria del centrodestra alle elezioni politiche, in piena accelerazione in Europa e negli Stati Uniti dall’ormai lontano 2016, quando l’elezione di Emmanuel Macron distrusse il partito socialista in Francia e Donald Trump in America iniziò la galoppata del movimento Maga. È in quel momento che il vecchio mondo ha iniziato a declinare (la Brexit nel Regno Unito non fu un caso, era un altro innesco del ciclo) e si apriva una fase politica conservatrice, di destra, ieri populista e oggi popolare. Il tema centrale di questa storia è il declino del progressismo, il crollo dei punti di riferimento, identificati prima nella classe operaia, nella critica al capitalismo, nella teoria della società di massa, e poi nella letale trasformazione delle sinistre in partiti dell’establishment, portatori degli interessi delle élite, della finanza al posto dell’industria e del lavoro, della globalizzazione senza la fabbrica.

Si è giunti così alla fine di un sogno durato trent’anni che oggi si traduce nella disillusione dei ceti più deboli e dei produttori che cercano uno Stato forte, protezione e direzione, una rapida inversione di rotta. Schlein e Conte sono gli ultimi arrivati (in tutti i sensi) di una classe politica che a sinistra ha fallito, a loro modo sono la negazione di tutto quello che da Bill Clinton in poi veniva dipinto come un movimento e un progresso inarrestabile. Elly e Giuseppe non possono essere la risposta perché sono esattamente la negazione dello sviluppo industriale (il tunnel del Brennero), il corto circuito dei capitali senza patria (la Mediobanca di Nagel), il testacoda del progressismo senza riformismo che diventa estremismo. Tre fatti, un filo rosso, un fallimento.

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