Nella prima pagina, del primo capitolo, del primo libro del manuale della comunicazione politica c’è una legge sacra: mai trasformare una battaglia incerta in una guerra. Il «campo largo» ha fatto l’opposto: ha raccontato che dal voto nelle Marche partiva la «remuntada» della sinistra. Se racconti in giro che l’elezione in una Regione è un test nazionale (non lo è quasi mai) devi essere sicuro di vincere. E invece prima hanno dato al voto marchigiano il peso di un immaginario «Swing State» americano, un tragicomico Ohio inesistente da Pesaro a Ascoli Piceno; poi, in preda alla febbre della Flotilla, hanno messo sui binari delle Marche un «treno per Gaza». Surreale.
Pronti a dire che «il vento è cambiato» si sono ritrovati con il morale sotto i tacchi e Giorgia Meloni che si complimenta con Francesco Acquaroli per la larga vittoria contro Matteo Ricci (52 a 44). La sinistra è finita sugli scogli della realtà, può vincere ancora nelle Regioni rosse e nei feudi dei cacicchi, ma complessivamente perde la sfida con un centrodestra che ispira più fiducia, perché si presenta unito e ha la leva del governo. Qualche appunto rapido, per sapere, per capire:
1. Il «campo largo» non assicura la vittoria contro il centrodestra. Bisogna sempre ricordare che 2 + 2 in politica non fa mai 4, può fare 5, ma spesso fa 3;
2. Le elezioni si vincono con le maggioranze silenziose non con le minoranze rumorose. Mai dimenticare Pietro Nenni: piazze piene, urne vuote;
3. La guerra a Gaza non trascina gli italiani alle urne, al massimo li divide (trasversalmente) e, in ogni caso, diventa un tema da respingere quando si trasforma in antisemitismo e settarismo, collateralismo con i tagliagole di Hamas, guerriglia urbana e tragicomica crociera che veleggia verso la guerra;
4. Il discorso pubblico anti-occidentale è trendy nelle redazioni, nei salotti, nell’establishment con la pancia piena (e il cervello vuoto), ma una politica popolare (e non populista) parla di pane e lavoro, industria e welfare, riforma fiscale e commercio, stop all’immigrazione e più sicurezza. È l’azione quotidiana del governo Meloni, una «forza tranquilla».
Al contrario, la Flotilla di Elly è percepita come una chiassosa (e pericolosa) protesta, lontanissima dall’essere una proposta, perché non sa leggere la contemporaneità e l’agenda internazionale (che bussa alla porta di tutti gli italiani), non intercetta i bisogni (locali e nazionali), è dalla parte sbagliata della storia. L’anti-melonismo non è un programma di governo.