Il più esplicito è Dario Carotenuto, capogruppo del M5S in Vigilanza Rai: «Il governo è mandante morale (lo scrive in maiuscolo, ndr) di questo attentato». Sigfrido Ranucci, accusa nel post dal suo account su X, è stato lasciato solo, emarginato, dalla Rai (sottinteso: e quindi dal centrodestra, ecco il “mandante”): «Gli ha tolto la responsabilità della firma: contratti, trasferte, scelte editoriali, tutto strappato dalle sue mani e affidato a un altro dirigente. Non è stata una semplice mossa burocratica, è stato un attacco mirato».
Un’aggressione da parte «della peggiore destra di governo europea, insieme a quella di Orbán», gli fa eco Giuseppe Giulietti, ex capo dell’Usigrai, ex parlamentare progressista e ora coordinatore di Articolo 21, associazione che ha già convocato una piazza - «il giorno 21 ottobre alle ore 17»- per solidarizzare con il giornalista. L’obiettivo della manifestazione, però, è un altro: utilizzare l’attentato in chiave politica, anti-governativa, in nome del «clima creato contro Report» dalla maggioranza, che «ricorda le campagne di odio che precedettero l’editto bulgaro contro Biagi-Santoro-Luttazzi» ai tempi del governo Berlusconi: «Dalla Bulgaria, siamo passati direttamente a Predappio». Predappio è il luogo di nascita di Benito Mussolini e l’equazione è fin troppo facile: in Italia c’è il fascismo, ecco perché accadono queste cose.
NUOVI ANNI DI PIOMBO
All’appuntamento ha subito aderito il presidente del M5S, Giuseppe Conte, che ieri si è prima recato sul luogo dell’attentato e a casa del giornalista, e poi a via Teulada per partecipare al presidio organizzato da Fnsi, Usigrai, Ordine dei giornalisti e Associazione stampa romana davanti alla sede della Rai. «Ora quei politici che hanno paralizzato l’operatività della commissione di Vigilanza (di centrodestra, naturalmente) si scusino per il dileggio e la delegittimazione costante che hanno fatto nei suoi confronti», scandisce l’ex premier, che martedì sarà in piazza.
C’è un mondo, politico e culturale, che accusa esplicitamente il centrodestra di aver creato il clima in cui è avvenuto l’attentato a Ranucci. «Abbiamo purtroppo imparato dal passato recente di questo Paese che non esiste bersaglio più semplice che un uomo lasciato solo», scrive su X Nicola Fratoianni, uno dei leader di Avs, evocando gli Annidi piombo.
Un parallelismo condiviso da Gad Lerner, secondo cui è in atto una riedizione dell’«Italia delle bombe e dell’intimidazione ai giornalisti scomodi».
Ora quel clima ritorna, «vigliaccamente sotto la regia di classi dirigenti sovversive». Del resto «quando la politica – il potere – si sente autorizzata a colpire i giornalisti, la democrazia non è in pericolo: è già stata violata», sentenzia Roberto Saviano. Per lo scrittore di Gomorra «quello che è accaduto non riguarda solo lui, ma il clima che stiamo accettando».
E poteva mai mancare un riferimento a Gaza? Certo che no. Eppure è quello che fa, con un salto mortale carpiato, la giornalista Rula Jebreal: «Bombardare i giornalisti è la strategia tipica dei regimi autoritari e genocidiari: da Gaza a Roma, la stessa logica omicida mira ad uccidere la verità, seppellire tutti i crimini, corruzione e azzittire, intimidire i giornalisti indipendenti». Il collegamento, ardito, è il seguente: la bomba contro Ranucci, in Italia, è come quelle di Israele, regime responsabile del “genocidio”, a Gaza. A Roma c’è un «regime autoritario», pare di capire, mentre a Gerusalemme c’è un «regime genocidiario». Tra tutti, vale citare il commento di Silvio: «Ma lei, per caso, sta insinuando che il mandante dell’attentato a Ranucci sia il governo italiano? Ma è seria?».
ATTACCO ALLA PREMIER
Sul sito di Repubblica, il drammaturgo e attore teatrale Stefano Massini usa l’ironia: «In Italia non ci sono problemi con la libertà di informazione e di stampa. La presidente del Consiglio va negli Stati Uniti e dice che lei non parla con la stampa italiana, ma non ci sono problemi... è tutta una cattiveria, tutta una menzogna, l’Italia è un Paese perfetto». E anche quando si dà atto della solidarietà di Giorgia Meloni, come ad esempio fa Francesco Cancellato, direttore di FanPage, ecco il richiamo- della foresta- politico: «Se l’indipendenza del giornalismo è sacra, magari facciamo che i vertici Rai non li nomina più il governo».