Nella spy story per tracciare Agostino Ghiglia, membro del Garante della Privacy, mancano solo le microspie. Gli viene contestato di essere andato nella sede di Fdi, in via della Scrofa nel pomeriggio del 22 ottobre scorso, alla vigilia della decisione sul caso Report-Sangiuliano. «Per incontrare il direttore editoriale de Il Secolo d’Italia, Italo Bocchino, in merito a una presentazione a Torino e a Roma dei nostri due nuovi libri», sostiene lui. Non per “rendere conto” della decisione di multare la trasmissione di Sigfrido Ranucci per 150mila euro. Del resto, si parla di una faccenda seria, cioè aver mandato in onda una telefonata privata tra Gennaro Sangiuliano e l’ormai ex moglie Federica Corsini.
Non sono provvedimenti che un Garante prende dopo essere stato imboccato dalla politica. Eppure la squadra di Rai Tre indaga. Solo oggi che ci sono di mezzo loro, però, col Garante che si può persino pedinare per timore che possa influenzare il processo democratico. Quando l’organo di controllo era gestito da profili di sinistra Report era su Plutone?
Prendiamo la finestra 1997-2005, quando il Garante Stefano Rodotà incrociò spesso di traverso i governi Berlusconi. Nel 2004 coi ministri dell’Interno Scajola prima e Pisanu poi prese di mira la corsa alla videosorveglianza e al controllo diffuso, varò linee rigide sui requisiti delle telecamere e ammonì sulla «società dei controlli». Fu scontro frontale anche sul disegno di conservazione dei dati: un contenzioso che esplose col cosiddetto decreto Pisanu del Berlusconi III (aprile 2005–2006): si parlava di obblighi estesi per internet point e wi-fi, identificazioni e log generalizzati. Rodotà ne contestò l’impianto indiscriminato e chiese limiti, finalità determinate, controlli effettivi. E con Tremonti all’Economia (stessa maggioranza), il Garante bollò l’art. 50 della Finanziaria 2004: non gli andava a genio la centralizzazione di dati sanitari e fiscali presso l’Agenzia delle Entrate, che «minava i diritti su informazioni sensibilissime» e «ignorava i pareri richiesti all’Autorità». Nel capitolo biometria e documenti gli attriti toccarono invece l’Innovazione di Lucio Stanca (Cns, identità digitali) e la Farnesina di Gianfranco Fini sul passaporto elettronico: il Garante chiese cautele stringenti e minimizzazione dei dati; in sede Ue, il “Gruppo art. 29” presieduto proprio da Rodotà mise in guardia sull’acquisizione indiscriminata di dati biometrici. Rodotà che era pur sempre il “giurista di sinistra” (ex Pci/Pds). La destra allora lanciava allarmi, ma venivano liquidati come ideologici. Oggi invece viene sempre accusata di essere ideologica, ma perché il Garante non è rosso.
Alta tensione anche nell’aprile 2019. A far polemica fu il M5S, perché venne sanzionata con 50mila euro l’associazione che gestiva la piattaforma Rousseau. Peccato che a seguito di ispezione del novembre 2018 su quel sito «pur avendo migliorato in modo significativo gli aspetti di sicurezza» venivano rilevate comunque «importanti vulnerabilità» e per di più durante le europarlamentarie pentastellate, cioè con tanti utenti ignari che cliccavano ovunque. Sul “Blog delle stelle” i grillini scrissero: «Temiamo che ci sia un uso politico del Garante e che possa risentire della sua pregressa appartenenza al Pd». All’epoca in effetti c’era Antonello Soro, ex capogruppo del Pd alla Camera, e dicevano che usasse politicamente l’Ente per sabotare il Conte I. Magari era paranoia. Ma una puntatina di Report non si sarebbe potuta fare lo stesso?