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L'incredibile serie di errori sul caso Almasri

di Fausto Carioti domenica 9 novembre 2025

4' di lettura

Il documento pubblicato ieri da Libero, che colloca al 20 gennaio il ricevimento da parte del governo italiano della richiesta d'estradizione presentata dalle autorità libiche, era l'ultimo tassello. Ora è possibile tracciare una cronologia dettagliata degli eventi che hanno portato all'arresto di Osama al Najem Almasri – che secondo le accuse avrebbe torturato decine di carcerati, uccidendone uno – da parte delle autorità tripolitane. Una sequenza decisiva per capire il ruolo del governo italiano e la fondatezza delle contestazioni mosse dalla sinistra e dalla Corte penale internazionale.

Il 10 luglio 2024 è il giorno in cui gli uffici di Karim Ahmad Khan, procuratore capo della Cpi, iniziano a controllare i movimenti di Almasri, tramite la polizia tedesca. Il militare libico è stato intercettato in Europa, dove si reca spesso. Quel giorno nei suoi confronti viene emessa una “blue Notice”, cioè l'avviso che l'Interpol emette, su richiesta della Corte dell'Aia, per raccogliere informazioni su una “persona di interesse” e tracciarne i movimenti. Una nota che non prevede l'arresto e in quel momento è visibile solo in Germania.

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Il 2 ottobre, quasi tre mesi dopo, il procuratore chiede di emettere un mandato di arresto nei confronti di Almasri. Il suo carico ipotizza delitti contro l'umanità e altri reati gravi. La richiesta, però, non viene esaminata subito dai tre giudici della Camera preliminare, cui spetta la decisione finale. Il 6 gennaio 2025 il militare libico inizia il viaggio che lo porterà in Italia. Vola da Tripoli a Londra facendo scalo a Fiumicino. Si trattiene nella capitale britannica per una settimana. Il 13 gennaio, su un treno che attraversa la Manica, arriva a Bruxelles. Da lì, a bordo di una vettura, si sposta a Bonn, dove rimane due giorni e assiste a una partita di calcio. Il 16 gennaio l'automobile su cui viaggia insieme ad altre persone in direzione Monaco di Baviera è fermata dalla polizia tedesca. Almasri mostra i documenti. A suo carico c'è solo quella “nota blu”, la domanda formulata dal procuratore non è stata ancora valutata. Così gli agenti tedeschi non lo fermano, ma si limitano a comunicare al Cpi le circostanze in cui lo hanno intercettato.

Sabato 18 gennaio Almasri arriva in Italia: è il giorno in cui le cose precipitano. La “nota blu” viene estesa ad Austria, Belgio, Francia, Regno Unito e Svizzera, ma non all'Italia. La Cpi, dopo aver ignorato per dodici giorni la presenza del libico nel Regno Unito, in Germania e negli altri Paesi che ha attraversato, si richiede d'urgenza, con procedura inconsueta. Solo in questo momento i suoi tre giudici decidono di esaminare la richiesta d'arresto avanzata il 2 ottobre da Khan. Due dei magistrati sono favorevoli; il terzo, la messicana Socorro Flores Liera, si oppone. Nella relazione di minoranza sostiene che in questa circostanza la Corte abbia operato al di là del mandato assegnato dal consiglio di Sicurezza dell'Onu.

Nel pomeriggio di quel giorno la Cpi apprende dalla polizia tedesca che Almasri potrebbe essere in Italia. Alle 22.55 la stessa Corte comunica alla sede centrale dell'Interpol che la “nota blu” deve essere rimpiazzata dalla “nota rossa”: è la richiesta di arresto per Almasri, che riguarda anche l'Italia. Alle 2.33 di domenica 19 gennaio i vertici dell'Interpol convalidano la richiesta. È a questo punto chele autorità italiane sono chiamate ad agire. La “nota rossa” arriva alla questura di Torino, dove nel pomeriggio del giorno precedente Almasri era stato fermato per un controllo assieme ad altri due libici, nelle vicinanze dell'Allianz Stadium, dove si gioca Juventus-Milan. Dalla banca dati degli alloggiati risulta che Almasri abbia preso una stanza in un albergo del capoluogo piemontese, ed è lì che al mattino di domenica i poliziotti italiani lo arrestano, per trasferirlo nel carcere delle Vallette.

Solo lunedì 20 gennaio arriva al ministero della Giustizia la richiesta di arresto di Almasri avanzata dalla Cpi. Nelle stesse ore, tramite l'ambasciatore libico, giunge alla Farnesina, e da lì all'intero governo, un documento firmato dal procuratore generale di Tripoli e indirizzato alla Corte d'appello di Roma. È la richiesta di estradizione di Almasri, che la Libia intende processare per gli stessi reati contestati dalla Corte dell'Aia. La procura di Tripoli sostiene di essere l'unica autorità responsabile a giudicare l'ufficiale e chiede all'Italia di non dare seguito al mandato d'arresto della Cpi.

Il giorno successivo, il 21 gennaio, la Corte di appello non convalida l'arresto di Almasri, ritenendolo «irrituale» poiché la Cpi non aveva trasmesso gli atti al ministro della Giustizia italiano, come previsto dalla legge. Un vizio sostanziale. Ordina quindi «l'immediata scarcerazione» dell'ufficiale libico. Il quale viene subito espulso e rimpatriato dal governo con un volo di Stato, procedura riservata ai soggetti pericolosi. L'esecutivo italiano ha dovuto scegliere tra due richieste concorrenti: una della Corte penale internazionale, l'altra della Libia. Nella prima Carlo Nordio ha rilevato numerose incongruenze.

«Un atto completamente sbagliato per quanto riguardava sia molti capi di imputazione sia la data del delitto commesso», e dunque nullo, spiegherà. Anche all'Aia si sono accorti che in quel documento ci sono errori: infatti ne emettono uno nuovo, corretto, il 24 gennaio. Cioè quando il governo ha già deciso di rispettare il principio di complementarietà previsto dal trattato istitutivo della Cpi, per cui essa non può sostituire i tribunali nazionali se questi stanno indagando o processando un individuo per gli stessi crimini. Il 5 novembre Almasri è fermato in Libia, in seguito alla richiesta di arresto della procura di Tripoli nei suoi confronti. Una decisione in linea con la richiesta di estradizione presentata all'Italia. «Sapevamo dal 20 gennaio che c'era un mandato di cattura per lui», commenta a palazzo Chigi.

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