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Arresto Almasri, il retroscena: la richiesta delle toghe libiche all'Italia

di Fausto Carioti giovedì 6 novembre 2025

3' di lettura

Il procuratore generale di Tripoli ha disposto ieri l’arresto in custodia cautelare di Osama Almasri. L’ufficiale libico, che è stato direttore del carcere di Mitiga, è accusato di aver torturato detenuti e di aver causato la morte di uno di loro. La sinistra accoglie la notizia come un regalo, l’occasione insperata per tornare sulla vicenda e lanciare nuovi attacchi al governo, dopo che la Camera ha negato al tribunale dei ministri l’autorizzazione a procedere nei confronti di Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano. Almasri era stato arrestato a Torino il 19 gennaio, rilasciato due giorni dopo per mancata convalida da parte della Corte d’appello e subito rispedito a Tripoli su un aereo di Stato. «Considerato che era a piede libero in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale, ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato», spiegò il ministro dell’Interno. Ora, secondo Elly Schlein, l’arresto di Almasri da parte delle autorità tripolitane significa che «per la procura in Libia il diritto internazionale non vale solo fino a un certo punto, come per il governo italiano». Giuseppe Conte parla di «umiliazione per il governo Meloni», Angelo Bonelli di «vergogna nazionale» e così via. Rispettando il copione, tutti chiedono al governo di venire a riferire in parlamento.

Tesi pretestuosa sotto molti punti di vista, quella dell’opposizione. Intanto perché portata avanti dagli stessi che per mesi hanno accusato il governo di aver garantito l’impunità ad Almasri, rispedendolo in Libia anziché dare seguito al mandato d’arresto che la Corte penale internazionale aveva inviato in tempi e modi sbagliati, come spiegato da Nordio davanti al parlamento. L’espulsione non era sinonimo d’impunità, si è visto invece ieri. Al contrario: l’esecutivo italiano sapeva che ad attendere Almasri in patria c’era la procura di Tripoli. A informarlo erano state le stesse autorità libiche, che proprio per questo avevano chiesto la “restituzione” dell’ufficiale. Il 20 gennaio, mentre Almasri era nel carcere di Torino e nelle ore in cui Nordio riceveva il carteggio ufficiale del mandato di arresto internazionale, era arrivata infatti a Roma la domanda di estradizione da parte della magistratura di Tripoli, per le identiche accuse ipotizzate nel mandato di arresto della Corte penale internazionale.

Richiesta ufficializzata in un documento consegnato alla Farnesina dall’ambasciata libica a Roma e citata anche nella domanda di autorizzazione a procedere presentata dal tribunale dei ministri. Non una scoperta dell’ultim’ora, quindi. Proprio la richiesta di estradizione presentata dai libici, hanno ricordato ieri fonti di palazzo Chigi, è stata una delle ragioni principali con cui il governo italiano ha giustificato alla Corte penale internazionale la decisione di riportare Almasri in Libia. Una posizione che gli esponenti dell’esecutivo hanno illustrato anche davanti alla Giunta per le autorizzazioni e nell’aula di Montecitorio. Per questo, commentano dal governo, è «singolare» che questo elemento, «obiettivo e pubblico», venga dipinto ora come «una assoluta novità» da tanti esponenti dell’opposizione.
Le agenzie di stampa italiane ieri hanno avuto modo di leggere la nota riservata che la procura generale libica, il 20 gennaio, aveva inviato alla Corte d’appello di Roma. I magistrati di Tripoli chiedevano ai loro colleghi italiani di non procedere all’estradizione di Almasri verso la Corte penale internazionale, poiché le accuse contro di lui, che riguardano «torture, detenzioni arbitrarie e morti in custodia», non sono materia della Corte dell’Aia, ma «ai sensi dello Statuto di Roma» rientrano nella competenza della procura generale libica. Un impegno al quale i magistrati di Tripoli hanno dato seguito con il mandato di arresto emesso ieri: non per adempiere alla richiesta della Cpi, ma in totale autonomia da essa.

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La domanda, allora, è come mai ci sia voluto così tanto tempo, visto che Almasri era stato rimpatriato il 21 gennaio. Chi segue il dossier a palazzo Chigi spiega che sono stati decisivi gli scontri armati avvenuti a Tripoli nel mese di maggio 2025, innescati dall’uccisione di Abdel Ghani Al-Kikli, comandante militare libico ucciso da una milizia rivale. Questo ha scatenato una sorta di guerra civile che ha indebolito militarmente e politicamente la milizia salafita Rada, di cui Almasri è uno dei capi. In questa nuova situazione il premier del governo di unità nazionale, Abdelhamid Dabaiba, interessato a mostrare agli Stati occidentali che lo appoggiano i suoi progressi nel controllo del territorio, ha potuto recuperare parte dell’autorità che aveva ceduto alle milizie, in particolare alla Rada. E la magistratura, finalmente, ha potuto emettere l’ordine di arresto nei confronti di Almasri.

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