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Romano Prodi ordina alla Schlein la super-tassa

martedì 11 novembre 2025

2' di lettura

Non c'è niente da fare: in un centrosinistra privo di veri leader Romano Prodi ha gioco facilissimo a riprendersi la scena, a 86 anni suonati, e a dettare l'agenda a Partito democratico e alleati vari.

L'intervista dell'ex premier a La Stampa in questo senso è emblematica, con una serie di parole d'ordine letteralmente dettate a Elly Schlein. A cominciare dalle tasse, dove la segretaria per la verità si era già portata avanti con il lavoro. 

Le diseguaglianze, accusa il Professore, stanno crescendo a un ritmo "intollerabile. Si parla di grandi cambiamenti, di intelligenza artificiale. Bisogna promuoverla, lavorarci su, però se non stiamo attenti comporterà nuove divisioni tra ricchi e poveri". Per questo motivo pensare a politiche di redistribuzione è "assolutamente necessario". "Pensi al piano di remunerazione che Tesla ha approvato a Musk: mille miliardi di dollari. Ma ci rendiamo conto? È una cosa degna dell'umanità?". 

Se spingiamo gli squilibri a questi livelli, "creiamo la frattura del mondo", aggiunge. Dunque, bisogna tassare i super patrimoni? "Musk è soltanto un esempio. Ma per quanto riguarda le diseguaglianze, il discorso fatto dal nuovo sindaco di New York va nella direzione giusta. Ho dei grandi dubbi che gli strumenti che propone siano realistici, anche perché non so se avrà la capacità di tassare nella quantità voluta per venire incontro alle promesse che ha fatto. Si troverà di fronte a un dilemma notevole, ma ha cominciato a scegliersi collaboratori capaci. Mi sembra che rappresenti il nuovo, anche se non il nuovissimo", risponde Prodi.

Restando in America, Donald Trump "sta trattando l'Ue in modo incredibile. Proprio per questo bisogna reagire. Pensate all'episodio più recente: il presidente degli Stati Uniti dice ai Paesi europei 'Voi non dovete più comprare gas dalla Russia, però l'Ungheria può farlo, perché Orban è mio amico'. Intervenire nella politica interna selezionando tra amici e nemici del Paese con cui tratta è qualcosa che non abbiamo mai visto nella storia". "Se finisse il voto all'unanimità, avremmo già rifatto l'Europa. Unanimità, cioè il voto uguale di tutti, vuol dire impedire le decisioni. Quando una struttura politica non può decidere, è finita - incalza il fondatore de L'Ulivo -. Ci vorrebbe poco, ma ci sono alcuni Paesi che non ne vogliono sapere. Non solo l'Ungheria. Anche l'Italia non vuole superare l'unanimità, perché pensa che l'interesse nazionale lo si difenda più da soli che insieme, e questo è proprio sbagliato".

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In questo scenario geopolitico così instabile, la costruzione di una difesa comune può diventare la via per uscire dall'angolo? "Non è una via d'uscita - avverte Prodi -: di fronte ai cambiamenti che si stanno verificando nel mondo è una necessità assoluta. Non è necessario avere un esercito, ma almeno un luogo in cui si decida insieme. Sul fatto che gli Stati siano pronti, penso di no. C'è un inizio di collaborazione industriale, ma la difesa comune significa che qualcuno prende decisioni valide e accettate da tutti".
 

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