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L’eterno ritorno delle follie comuniste

35 anni dopo il crollo del Muro di Berlino ci troviamo con un comunismo e un post-comunismo che si ripresentano di nuovo, sia pure in forme diverse, ma insidiose e minacciose come nella seconda metà del Novecento
di Antonio Socci martedì 11 novembre 2025

4' di lettura

Donald Trump riprende l’antica consuetudine delle proclamazioni presidenziali, che risale a George Washington, e lancia l’Anti Communism Week (la settimana dell’anticomunismo) come «solenne ricordo della devastazione causata da una delle ideologie più distruttive della storia... Il comunismo ha devastato nazioni e anime. Oltre 100 milioni di vite sono state spezzate da regimi che hanno cercato di cancellare la fede, sopprimere la libertà e distruggere la prosperità». Lo spunto è l’anniversario della caduta del Muro di Berlino, ma il Corriere della sera nota che il testo è stato pubblicato, «forse per coincidenza, forse no», appena dopo la vittoria di Zohran Mamdani come sindaco di New York.

In realtà il testo contiene una lettura degli ultimi 35 anni di storia ed è la visione geopolitica della presidenza Trump. Infatti parla dei «34 anni trascorsi dalla fine della Guerra fredda», tracciando un bilancio allarmante: da una parte vede il «trionfo della democrazia», ma dall’altra la «persistenza della tirannia in nuove forme». E ora l’irrompere di «nuove voci» che «ripetono vecchie menzogne, mascherandole con il linguaggio della “giustizia sociale” e del “socialismo democratico”, ma il loro messaggio rimane lo stesso». Il presidente ribadisce che «l’America rifiuta questa dottrina malvagia» perché nella sua identità «libertà e opportunità sono diritti di nascita di ogni persona». Che messaggio vuole dare? Dalla fine della Seconda guerra mondiale, ottant’anni fa, al crollo dei regimi comunisti dell’est europeo (1989-1991) la minaccia per la libertà e per civiltà occidentale, come per la stessa umanità, è stata rappresentata dal comunismo, che in quei decenni ha avuto un’espansione planetaria, moltiplicando i suoi errori e i suoi orrori.

Con il crollo del Muro di Berlino, l’Occidente si è illuso di aver vinto definitivamente e di aver spazzato via dalla storia il comunismo. Ha creduto di iniziare un’epoca di libertà, di prosperità e di pace (ricordiamo il trionfalismo della «fine della storia» di Francis Fukuyama). Ma oggi, 35 anni dopo, ci troviamo con un comunismo e un post-comunismo che si ripresentano di nuovo, sia pure in forme diverse, ma insidiose e minacciose come nella seconda metà del Novecento. Con l’ubriacatura politica dell’era clintoniana fu varata una globalizzazione che penalizzò i nostri lavoratori e il nostro ceto medio e che trasformò la Cina nella fabbrica del mondo: oggi ce la ritroviamo come grande potenza comunista planetaria (aveva un Pil di 1300 miliardi di dollari e lo ha aumentato di quindici volte).
Il regime di Pechino ha mostrato a tutti che c’è un comunismo che vince e che può separare il capitalismo dalla democrazia, ponendosi come pericoloso modello. Grazie agli errori dell’Occidente.

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C’è poi il riflusso della Russia verso il passato tirannico dell’Urss: anche qui l’Occidente non ha saputo ancorare Mosca alla democrazia occidentale come avrebbe potuto fare dopo lo storico vertice di Pratica di Mare (2002). Il ritorno, sotto varie forme, del comunismo, o comunque di una forte ideologia anti-occidentale, rappresenta un problema economico, politico e militare. Si deve ad esso il principale (e costosissimo per tutti) focolaio bellico: quello ucraino. Ma anche l’instabilità del Medio Oriente con l’Iran alleato dell’asse Pechino-Mosca. Attorno a questo asse gravita una costellazione di regimi illiberali e anche di altri Stati che faticosamente Trump sta cercando di riportare in un’orbita occidentale. Non è però aiutato da una Chiesa che nell’epoca Bergoglio ha imboccato una strada duramente anti-occidentale (per molti aspetti simile all’ideologia woke) e soprattutto da una Ue che appare frastornata dai nuovi scenari e continua a insistere con le vecchie (e fallimentari) politiche dell’epoca Obama e con un’ostilità alla presidenza Trump che divide e indebolisce l’Occidente.

L’insistenza sulla Ue come antagonista degli Stati Uniti di Trump caratterizza anche la sinistra italiana che si sta radicalizzando su posizioni antioccidentali (del resto l’Italia ha avuto per mezzo secolo il più forte Partito comunista del mondo libero). È significativo l’entusiasmo (anche del Pd che torna a salutare col pugno chiuso) per Mamdani come nuova stella polare. Antonio Monda, che pure lo ha votato, ha messo in guardia la sinistra italiana: «Il sindaco che prendete a modello ha seguito in campagna elettorale i punti programmatici dei socialdemocratici americani, a cominciare dal ritiro della Nato e la nazionalizzazione delle aziende manifatturiere e tecnologiche, oltre a quelle dei servizi pubblici e delle ferrovie, quanto di più inaudito in America. Siete sicuri che sia una scelta giusta?».
Nell’innamoramento per Mamdani pesa anche la fascinazione della sinistra per le masse di immigrati islamici che i compagni sentono come il nuovo proletariato capace di vincere e spazzare via l’identità spirituale, culturale e politica dell’Occidente. L’islamosinistra era emersa nelle politiche migratorie e poi clamorosamente con la guerra di Gaza.

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