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La strada obbligata che va da palazzo Chigi verso il Quirinale

di Mario Sechi giovedì 20 novembre 2025

5' di lettura

Il caso è chiuso e non c’è trippa per gatti. La sinistra pensava di capitalizzare uno scontro istituzionale che non c’è mai stato tra il Quirinale e Palazzo Chigi. La vicenda del loquace consigliere del Colle, Francesco Saverio Garofani, ha un interesse ridotto allo stato floreale, una questione erboristica, non politica. Non abbiamo mai avuto un periodo di così forte stabilità e naturalmente tanti hanno interesse seminare discordia tra le istituzioni. Sergio Mattarella e Giorgia Meloni hanno un percorso comune dettato dallo spirito del tempo. Anche quando le opinioni divergono, alla fine si ricompongono nel quadro dell’interesse nazionale.

È naturale che tra i due vi siano punti differenti: il presidente innanzi tutto appartiene a un’altra generazione e ha un’altra cultura politica, quella della sinistra Dc, ha vissuto la stagione di quella che Pietro Scoppola definì “la Repubblica dei partiti”, è al secondo mandato al Colle e anche lui, nonostante sia un capitano di lungo corso, sperimenta le novità e le sfide del presente; la premier è l’elemento nuovo della Terza Repubblica con un dinamismo e un’originalità che l’Economist ha descritto come un’eccezionalità nel panorama europeo, il suo governo è il primo dal 2008 battezzato da un risultato chiaro delle urne, è conservatore, è l’esecutivo più solido nell’Unione. Il dialogo tra il Quirinale e Palazzo Chigi non è mai stato fluido nella storia, non esiste - non sarebbe costituzionale - un presidente che telecomanda Palazzo Chigi, come non esiste un governo del tutto svincolato dal rapporto con la presidenza della Repubblica.

Le lezioni del passato sono infinite, basta ricordare che neppure Bettino Craxi - che di leadership e carattere forte ne aveva - godeva di uno spazio di manovra senza ostacoli, prendete nota: doveva fronteggiare il più grande partito comunista dell’Occidente, guidato da Enrico Berlinguer (consiglio la lettura dei diari di Tonino Tatò, il suo segretario, per scoprire la ferocia della lotta politica di quegli anni), governava con una coalizione in cui il partito di maggioranza (della maggioranza) era una Democrazia Cristiana guidata dal segretario Ciriaco De Mita che studiava dalla mattina alla sera come far fallire il Partito Socialista di Craxi e sostituirlo con un’ammucchiata in cui il garofano era solo il fiore all’occhiello, un orpello nella balena bianca; al Quirinale Craxi sperimentò il carattere irascibile di Sandro Pertini, il quale non badava troppo ai formalismi e interveniva a gamba tesa nelle scelte di governo e di partito, altro che presidente notaio. Il rapporto tra Mattarella e Meloni al confronto è quasi idilliaco e, siccome nella vita non ci si può annoiare, che ogni tanto emergano delle incomprensioni fa parte del gioco. Il presidente e la premier inoltre non sono su un’isola deserta, entrambi sono sottoposti al giudizio dell’opinione pubblica, del Parlamento che discute della loro azione politica, guidano staff importanti di persone che mandano avanti l’attività quotidiana, prendono decisioni ordinarie e straordinarie, ognuno con la sua competenza, il suo carattere, i suoi errori e i suoi successi, fattori che contribuiscono alla cifra complessiva dell’istituzione che servono.

Francesco Saverio Garofani ha ammesso di avere espresso delle opinioni politiche sull’assetto del centrosinistra e sulla partita (tra l’altro lontanissima) per l’elezione del nuovo Capo dello Stato, il suo curriculum è quello di un cattolico democratico che ha diretto il quotidiano Il Popolo, che è passato per un’esperienza parlamentare nel Pd e dunque le sue parole non mi sorprendono, sono coerenti con questo profilo, il problema semmai è che appartenendo a un’istituzione che deve servire con il massimo della terzietà, quando esprime le sue legittime opinioni deve essere ispirato al massimo della prudenza e della discrezione. Il suo ruolo di consigliere della Difesa sarà certamente di rilievo, ma mi permetto di scrivere che Sergio Mattarella non ha bisogno di consiglieri in questo settore, visto che è stato ministro della Difesa ed ha una consolidata cultura atlantista. È su questo terreno che il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio sono in perfetta sintonia. Lo scontro istituzionale non può esserci perché non basta la stabilità politica per affrontare la contemporaneità, serve anche una stabilità di sistema, dove la parola “sistema” identifica il Quirinale, Palazzo Chigi, la Corte Costituzionale e il Parlamento.

Sono gli elementi fondamentali della “macchina” politica e quando uno di questi fibrilla, di solito le cose non funzionano e l’instabilità diventa crisi politica. Le sfide internazionali, lo scenario geopolitico, non ci consentono di commettere passi falsi, sono cose che Mattarella e Meloni sanno meglio di chiunque altro, perché hanno una grande responsabilità che deriva dalla Costituzione. Molti attori puntano a creare una rottura di sistema, chi ha la responsabilità di orientare e guidare a Nazione deve adoperarsi per limare le differenze, che esistono, evitare le fughe centrifughe, frenare le fughe in avanti di chi, colto dalla passione della propria parte, può distrarsi e dimenticare di avere una missione più grande che è quella illuminata dalla stella polare dell’interesse nazionale. Girano molte voci, sono quasi tutte sbagliate, in particolare quelle sulla corsa al Quirinale, Sergio Mattarella non lascerà in anticipo il Colle e concluderà il suo settennato, Giorgia Meloni porterà a termine la sua legislatura e si presenterà alle elezioni per chiedere una rinnovata fiducia agli italiani dopo cinque anni di governo.

Altri fanno calcoli sbagliati sul Colle, aspirano, sospirano, sussurrano, senza capire che ci sono forze straniere che puntano alla destabilizzazione di una nazione forte stabile e autorevole come oggi è l’Italia, un membro chiave della Nato, un alleato strategico degli Stati Uniti d’America, un punto di riferimento per la democrazia e il mondo libero. Le camarille che tirano per la giacca il presidente della Repubblica (inutilmente) e sperano di far deragliare il presidente del Consiglio si mettano l’anima in pace, non ci riusciranno, per il semplice motivo che le condizioni reali sono diverse dai desideri, né la destra né tantomeno la sinistra sono in grado di modificare il percorso che è iniziato tre anni fa con la vittoria di Giorgia Meloni. Ogni progetto di “regime change” a tavolino si scontrerà inesorabilmente con la volontà popolare, il contesto internazionale, i rapporti di forza geopolitici, la congiuntura economica, la crisi dell’Unione Europea, le minacce esterne, come quella della Russia sul fianco orientale europeo, il rischio mai così alto di un’altra guerra mondiale (nucleare), la necessità di proseguire il cammino delle riforme in Italia e in un’Europa che è il vaso di coccio tra i vasi di ferro degli Stati Uniti e della Cina. La crisi è finita, andate e governate in pace.

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