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Landini ha sbagliato tutto ed è rimasto solo

di Mario Sechi sabato 13 dicembre 2025

2' di lettura

Un anno fa Maurizio Landini annunciò la «rivolta sociale» contro il governo Meloni, in un vortice di sparate in tv e scioperi del venerdì, il suo progetto di dare la spallata al centrodestra, assaltare il Palazzo d’Inverno e preparare il terreno alla «remuntada» della sinistra, è fallito. Il risultato è che la sua rivolta immaginaria è diventata un boomerang. Quattro sono i punti di rottura.

1.Il segretario della Cgil ha demolito l’unità sindacale, prima con la Cisl e poi addirittura con la Uil che l’aveva seguito nell’avventura dell’opposizione radicale.

La Cisl guidata prima da Luigi Sbarra e poi da Daniela Fumarola ha una tradizione moderata e pragmatica, non poteva essere complice del gioco allo sfascio; la Uil di Pierpaolo Bombardieri ha provato a mantenere la rotta a sinistra, ma quando ha ottenuto risposte convincenti del governo sulla legge di Bilancio ha mollato Landini che ha continuato a fare il Brancaleone alle Crociate;

2. Spezzata l’unità sindacale, Landini ha continuato a strillare e estremizzare il suo discorso pubblico, la metamorfosi da sindacalista a improvvisato politico (senza truppe parlamentari, dunque inefficace nel lavoro che conta, cambiare le norme) ha legittimato e favorito la crescita di un nemico a sinistra, il sindacato Usb che lo ha superato nel cavalcare il mondo pro-Pal e la protesta dura sui luoghi di lavoro, soprattutto nel settore dei trasporti;

3. La sconfitta nei referendum del giugno scorso ha mostrato tutta la debolezza della Cgil landiniana che ha evocato «la crisi democratica» per trovare una via di fuga rapida dal buio nelle urne. Elly Schlein non è stata travolta dal crollo solo perché l’ego ipertrofico del Maurizio si è preso tutta la scena durante la campagna referendaria, ma il Pd ha fatto un bagno ghiacciato di realtà e ora sa che seguire il landinismo nelle sue passeggiate utopistiche è pericoloso;

4. Gli scioperi del venerdì sono diventati un rito stanco, inefficace, senza una reale partecipazione di massa, provocano disagi che colpiscono soprattutto le fasce sociali più deboli, proprio quelle a cui Landini si appella per la «rivolta» che non c’è. La protesta del week end è percepita dagli italiani che lavorano come una furbata del piccolo establishment del sindacalismo. Alla fine, l’avventura di Landini sembra come la grandiosa scena de «La classe operaia va in paradiso», il film di Elio Petri che fece infuriare la sinistra per la sua corrosiva critica del sindacato: «Ma sì, spacchiamo su tutto e occupiamo il paradiso!».

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