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Plastica in mare, "ecco perché forse bisogna lasciarla dov'è": clamoroso dubbio tra gli ambientalisti

di Claudia Osmetti venerdì 29 ottobre 2021

3' di lettura

Premessa, doverosa: qui nessuno nega che ci sia un problema di inquinamento degli oceani. Basta guardare le immagini del "Pacific trash vortex", l'isola di rifiuti galleggianti che si vede pure dal satellite, tanto fa impressione. Un ammasso di plastiche, pneumatici e sacchetti in balia delle correnti. Però, siamo davvero sicuri che, con la tecnologia di cui disponiamo oggi, uscire in mare aperto e improvvisarsi spazzini sia la soluzione ai nostri mali? Ce lo poniamo come domanda: qui a Libero non facciamo i biologi e nemmeno gli scienziati, facciamo i giornalisti. E come tali riportiamo quel che vediamo. Be', ecco, quel che vediamo è che la Ocean Cleanup (Oc), ossia la fondazione olandese che più di tutte si è occupata, nel passato recente, di setacciare e ripulire le acque del pianeta, ha collezionato tante battute d'arresto e molto meno successi. Come mette in fila il giornale on-line Il Post, non sono pochi quelli che, a livello planetario, restano scettici, quantomeno al momento, sui risultati ottenuti. Prima considerazione: i costi di queste (ambiziose) operazioni sono alti, e forse pure un po' troppo. Anzitutto perché mica esiste uno strumento pratico ed economico che permette di spazzare i fondali marini modello ramazza del cortile di casa: e allora, come dice la scienza, occorre procedere per tentativi. Solo che son soldi che se ne vanno. Dal 2013 (cioè da quando è nata la Oc) a oggi, son stati spesi milioni di dollari per realizzare una barriera di galleggianti ancorata a una rete il cui prototipo nel 2016 ha bruciato decine di milioni di dollari messi assieme con un crowdfunding lanciato dalla Silicon Valley e, nel 2018, ne ha spesi altrettanti per un modello a U che doveva essere trasportato dai venti. Tutti e due gli esperimenti son finiti con un nulla di fatto.

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D'accordo, si dirà: però è così che funziona, provando provando alla fine qualcosa si ottiene. Vero, e infatti, l'anno dopo, nel 2019, l'Oc l'ha im broccata, la barriera anti-plastica giusta. Il System 002. Con quella ha recuperato quasi 29 tonnellate di rifiuti. Ora, quel dato su un totale, stimato dalla Commonwealth industrial and scientific organization, di 14,4 milioni di tonnellate, è (scusate il gioco di parole) la classica goccia nell'oceano. Quasi nulla. Seconda considerazione: il System 002 implica (lo ricorda anche Il Post) l'utilizzo di due navi che trainano la maxi rete raccatta -plastica e che sono fornite da un'azienda (la Moller-Mae rsk) che è anche tra le principali finanziatrici della Oc. Tutto regolare, ci mancherebbe altro: se non fosse per un piccolo particolare, ossia che i carburanti che permettono a quei bestioni del mare di solcare le onde sono tra i più inquinanti al mondo e, in quanto a gas serra, van che è una meraviglia.

Noi ci lamentiamo (giustamente) del cambiamento climatico e ci indigniamo per le taniche di plastica che galleggiano al largo dei continenti, ma poi riaccendiamo l'intera filiera dello smog nella speranza di ridurre il fenomeno? Effettivamente è un corto-circuito. Terza considerazione: e qui entra in gioco Rebecca Helm, una che la biologa lo fa per davvero. Sostiene, Helm, che su quelle chiazze di rifiuti galleggianti si siano creati, oramai, dei piccoli ecosistemi che ospitano pesci e uccelli: «Non sappiamo bene quale sia l'effetto della plastica», aggiunge, «ma sappiamo che alcune specie la tollerano, alcune ne sono danneggiate e altre addirittura ne beneficiano». Come a dire, occhio a far in fretta e furia, rischiamo persino di "far danno" a quegli animali che, oramai, si sono abituati. L'abbiamo scritto all'inizio e lo ribadiamo alla fine di questo articolo: il problema c'è, ma ce n'è uno ancora più grande che non è in mare. È a monte. Da una parte (nella pratica) perché le isole di plastica le abbiamo create noi con le nostre cattive abitudini e con comportamenti incivili: per cui, alla prova dei fatti, la prima cosa da fare sarebbe cambiare mentalità. E dall'altra (letteralmente) perché la strada è ancora troppo lunga e le variabili da considerare tantissime. 

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Claudia Osmetti