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Mucche, cambia tutto: "Non inquinano", lo studio ribalta il quadro

di Attilio Brabieri giovedì 23 febbraio 2023

3' di lettura

Altro che grandi inquinatori. Gli allevatori italiani si distinguono, al contrario, per aver ridotto notevolmente le emissioni di gas serra riconducibili al bestiame. E il bilancio del comparto zootecnico tricolore dimostra che è impegnato attivamente nel combattere il riscaldamento globale e mitigare il cambiamento climatico. A smentire la leggenda metropolitana che pone il comparto sul banco degli imputati è una nuovo studio condotto da un gruppo di ricercatori italiani che hanno ricalcolato le emissioni del nostro settore zootecnico usando una nuova metrica proposta da un gruppo di fisici dell’atmosfera di Oxford e pubblicata sulla rivista Nature. Il nuovo sistema di calcolo utilizzato dal team di ricercatori tiene conto in pratica del tempo di permanenza dei gas climateranti nell’atmosfera. Se un gas ad effetto serra permane in atmosfera poco tempo, il suo effetto sul riscaldamento globale è nullo se le emissioni restano costanti ogni anno, ma è addirittura negativo - cioè l'atmosfera si raffredda - se le emissioni diminuiscono, questo perché riducendosi la sua concentrazione si riduce anche il suo contributo all’effetto serra.


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Al contrario il gas è fortemente riscaldante se le emissioni aumentano in quanto questo tipo di gas ha un potere «serrigeno», come si dice nel gergo del settore, di molto superiore alla anidride carbonica. Le nuove metriche utilizzate tengono conto proprio di questa differenza e in particolare di quanto un gas permane in atmosfera. Una differenza sostanziale se consideriamo che il metano dopo 50 anni è praticamente sparito, mentre l’anidride carbonica resta in atmosfera per oltre mille anni. Il team di ricercatori italiani, sulla base dei dati ufficiali pubblicati dall’Ispra, l’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale dal 1990 al 2020, ha applicato le nuove metriche di calcolo alle emissioni di metano generate da tutte le filiere zootecniche italiane. Successivamente gli scienziati hanno confrontato i risultati con quelli che si erano ottenuti usando le vecchie metriche.
E qui arriva la sorpresa clamorosa. Non soltanto si riscontra una riduzione delle emissioni in atmosfera molto forte. Addirittura la cosiddetta “impronta ambientale”, della filiera diventa negativa.


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Se, infatti, guardiamo il contributo cumulativo totale della produzione zootecnica italiana al riscaldamento globale negli ultimi 10 anni – calcolato come emissioni di metano e protossido di azoto con l’applicazione delle nuove metriche questo diminuisce fino a negativizzarsi: da +206 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente calcolate con il vecchio metodo a -49 milioni di tonnellate stimate con le nuove metriche messe a punto dai fisici dell’atmosfera di Oxford. In pratica si ribalta la prospettiva. Non soltanto gli allevamenti non sono una delle fonti primarie di emissioni di gas climaterante, ma addirittura l’apporto del settore nel ridurre le emissioni è decisivo. In sostanza i nuovi studi smentiscono clamorosamente uno dei dogmi accreditati dalle analisi dell’Intergovernmental panel on climate change, l’Ipcc, che finora hanno rappresentato la base per mettere sotto accusa allevamenti e allevatori. «. La zootecnia è accusata di essere uno dei settori più impattanti sul clima a causa principalmente delle emissioni di metano degli animali, principalmente ruminanti», spiega a Libero il professor Giuseppe Pulina, ordinario di zootecnica speciale presso il Dipartimento di Agraria dell'Università di Sassari e componente del team di ricercatori che ha condotto i nuovi calcoli, «le metriche utilizzate per stimare questo impatto, però, non tengono conto del fatto che il metano è un gas a breve vita, è cioè rimosso dall'atmosfera per gran parte in un paio di decenni, mentre l’anidride carbonica permane per secoli.

Esprimere il primo in unità del secondo, vale a dire anidride carbonica equivalente, senza tenere conto delle diverse dinamiche dei gas in atmosfera porta a risultati fuorvianti». Precisamente quanto è accaduto finora. «In Italia, ad esempio», aggiunge Pulina, «nel decennio 2010-2020 le metriche utilizzate dall’Ispra, che sono quelle internazionali Ipcc, hanno conteggiato emissioni positive cumulative per il settore zootecnico, ma se si considerano le nuove metriche proposte dai fisici dell’atmosfera di Oxford, e recentemente considerate sia da Ipcc che dalla Fao quali alternative interessanti per una valutazione migliore degli impatti climalteranti, allora la nostra zootecnia non solo non ha contribuito all’effetto serra, ma lo ha mitigato in quanto ha decisamente ridotto le emissioni di metano. Se poi aggiungiamo che agricoltura e zootecnia sono attività che si svolgono nello stesso luogo e nello stesso tempo in cui l’anidride carbonica è emessa e sequestrata dalle piante e dal suolo, allora possiamo affermare che i sistemi agricoli e zootecnici nazionali sono attività a credito di carbonio».

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