Negli Stati Uniti è esploso un tema che presto diventerà centrale anche per l’Italia: l’intelligenza artificiale sta aiutando le aziende ad aumentare la produttività, ma allo stesso tempo sta riducendo le opportunità per chi entra oggi nel mondo del lavoro. A dirlo non è un critico della tecnologia ma Kevin Hassett, uno dei principali consiglieri economici del presidente Trump.
Secondo Kevin Hassett, l’intelligenza artificiale sta aumentando la produttività dei lavoratori a tal punto che molte aziende ritardano le assunzioni, in particolare per neolaureati e ruoli entry-level. Hassett definisce questa fase un “periodo di quiete” nel mercato del lavoro: non è un segnale di debolezza economica, ma l’effetto dell’efficienza tecnologica. L’aumento della produttività, infatti, potrebbe generare nuove opportunità di lavoro sul lungo periodo grazie alla crescita dei redditi e dei consumi.
Hasset avverte però che i dati attuali potrebbero sottovalutare l’impatto reale dell’IA e che la transizione richiede attenzione: i giovani e chi ha competenze limitate rischiano di restare esclusi. Politica economica e formazione saranno quindi fondamentali per mitigare effetti sociali indesiderati.
Secondo Hassett intervistato da CNBC “l’AI rende i lavoratori così produttivi che molte aziende non sentono più il bisogno di assumere i neolaureati.” In America è stato definito il “quiet time”: non un crollo del mercato del lavoro, ma una calma apparente, in cui l’economia va bene, la produttività aumenta ma le aziende assumono meno giovani.
Cerchiamo di capire con Gianluigi Ballarani docente di Digital Marketing and Crypto Strategies presso l'Università di Pavia quale sarà il futuro dell’occupazione con l’introduzione dell’AI . Ballarani ci spiega che: “Gli studi confermano quello che Hassett descrive infatti la sua frase non è isolata: diversi dati la sostengono. lo studio Stanford / Digital Economy Lab (2025) ed il gruppo di ricerca guidato da Erik Brynjolfsson (uno dei massimi esperti globali di AI e lavoro) ha analizzato migliaia di contratti in tre anni, nei settori più colpiti dall’automazione lgoritmica: programmazione, customer servic e, data entry, back office. Ed è emerso che l’occupazione dai 22–25 anni è diminuita tra il 13% e il 16% dal 2022 al 2025; l’occupazione dei colleghi sopra i 30 anni negli stessi ruoli è rimasta stabile o è aumentata; i posti scompaiono soprattutto nella fascia junior, cioè gli ingressi, non i lavoratori già in azienda. In parole povere: non stanno solo smettendo di assumere i giovani. Stanno anche riducendo, nei ruoli più ripetitivi, chi quel lavoro già lo svolgeva”.
L’impatto dell’AI oggi è a due livelli: da una parte automatizza i lavori ripetitivi e alcuni lavoratori vengono sostituiti; dall’altra aumenta la produttività dei senior e si aprono meno posizioni junior. Tutto questo riguarda da vicino l’Italia infatti Ballarani sostiene che “se accade negli USA, dove il mercato è dinamico e gli investimenti miliardari, l’effetto in Italia può essere ancora più forte poichè abbiamo uno dei tassi di disoccupazione giovanile più alti d’Europa inoltre molte aziende italiane usano l’AI soprattutto per tagliare costi, non per crescere ed infine le posizioni d’ingresso sono già poche: se l’intelligenza artificiale le riduce ulteriormente, rischiamo una “generazione sospesa”.