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Cibo affumicato, "un prodotto su tre": ecco cosa ci mangiamo davvero, uno studio inquietante

lunedì 15 marzo 2021

2' di lettura

Troppe irregolarità e la Direzione generale per la concorrenza, il consumo e la repressione frodi (Dgccrf) del ministero dell’Economia, delle finanze e del rilancio indaga sugli affumicati francesi. Secondo i primi risultati su 230 imprese industriali e artigianali si registrano violazioni nel 35 per cento dei casi. Si tratta di legni per l’affumicatura di dubbia provenienza, carenza di informazione sugli aromi e a volte anche poca attenzione al rischio idrocarburi policiclici aromatici. Tutte procedure da non prendere sottogamba visto e considerato che nell'affumicatura è fondamentale l'assenza di trattamenti chimici nella segatura e nei trucioli e la loro tracciabilità. La tecnica non a caso prevede l’esposizione diretta al fumo prodotto dalla combustione del legno.

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È bene anche non farsi ingannare dagli aromi che conferiscono il sentore di affumicato anche laddove di affumicato c'è ben poco. Non solo perché in alcuni casi l’uso di additivi non è stato affatto segnalato nell’etichetta del prodotto finito, in altri è stato rilevato l’utilizzo di diciture errate, come “fumo liquido” al posto dell’indicazione corretta “aroma di fumo/affumicatura”. A volte, invece, il problema rilevato riguarda la documentazione trasmessa dai fornitori di aromi, che non contiene tutte le informazioni obbligatorie. 

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Non è tutto perché a quelli già elencati si aggiunge un altro problema: i controlli interni. Secondo gli ispettori sono le aziende di dimensioni medio-piccole a sorvolare maggiormente sulle ispezioni obbligatorie. In sostanza la sensibilità in questo ambito dipende strettamente dalle dimensioni delle aziende: più un’impresa è grande, maggiore è il volume di alimenti affumicati prodotti e maggiore è la frequenza dei controlli interni sul rischio Ipa. Da qui il peggiore degli esiti: un'azienda su tre presenta delle irregolarità. Sarà così anche in Italia?

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