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Cucinare con l'acqua di mare? Salute, rischi altissimi: ecco quali

di Claudia Osmetti giovedì 31 luglio 2025

3' di lettura

Forse non è l’idea più intelligente del momento. Sì, d’accordo, va di moda, è apparentemente originale ed è fotografata, fotografatissima (si dice “instagrammabile” ma qui siamo già alla mezza follia culinaria, per favore salviamo almeno il senno sulla grammatica): epperò la spuntina I-like sui social non è garanzia di saggezza. Anzi. Ha cominciato Brooklyn Beckham, che è il figlio del calciatore inglese, ed è finita che oramai lo fanno tutti: sui panfili, al lido, persino i temerari in pedalò. Telecamera in una mano, pentola nell’altra calata a tirar su una buona spadellata di acqua di mare e pietanza cucinata lì. Tra le onde, nelle onde, con le onde. Farà anche bizzarria per la stagione 2025, ma cucinare con l’acqua di mare è più un rischio che un’intuizione geniale. È che c’è di tutto, dentro, al giorno d’oggi: ci sono i batteri, ci sono i virus, ci sono le maledette microplastiche che mica evaporano se anche la fai bollire a cento gradi, ci sono gli idrocarburi e i rifiuti organici che come condimento, siamo onesti, anche no.

«Lo sconsiglio vivamente», spiega a Libero lo chef Lorenzo Moroni che è l’anima e la colonna portante del famoso Atempo Bistrot di Milano, «soprattutto perché una volta i mari erano molto diversi, molto meno inquinati di quelli che abbiamo adesso. È possibile, si può usare l’acqua di mare in cucina, ma non per metodi di cottura e, a ogni modo, bisogna sempre farlo con coscienza». Moroni fa notare che spesso, su TikTok o su altri social simili, chi si avventura in queste pratiche da marinaio all’ultima spiaggia (nel senso che in passato, quando le navi stavano in viaggio per mesi, quando non c’era niente e toccava arrangiarsi, in un certo senso di faceva così: si usava l’acqua di mare in cucina per preservare quella potabile da bere) magari la recupera «vicino ai porti, ossia dove non circola e allora è davvero altamente rischioso». Mettersi a repentaglio per uno spaghetto alle cozze (che viene buonissimo anche alla vecchia maniera) conviene?

I nostri mari (e anche i nostri oceani) sono un immenso serbatoio della qualunque, della qualunque prelibatezza ma anche della qualunque schifezza: il pericolo numero uno si chiama escherichia coli (ne sa qualcosa il ragazzo di Anagni, in provincia di Frosinone, pioniere del trend che, l’anno sorso, è stato ricoverato per aver mangiato una frisella bagnata in acqua di mare praticamente a mezza bracciata dalle barche in ormeggio); il pericolo numero due è che (sorpresa sorpresa) la bollitura non sterilizza ogni cosa come siamo abituati a pensare perché esistono batteri marini che sono termostabili, cioè che resistono anche a temperature elevate; e il pericolo numero tre è che infezioni e patogeni non valgono il brivido di una diretta scimmiottando Masterchef su Facebook.

«Per lavare gli alimenti come i frutti di mare può essere impiegata», continua lo chef, «mantiene di più il gusto, va bene». Ché è un po’ il principio delle vongole “lavate” in acqua e sale anche in montagna, dato che così spurgano perché si “ricrea” il loro ambiente naturale: ma per il resto meglio evitare. «Esiste una ricetta antichissima che impiega addirittura le pietre del porto, si faceva una volta: si faceva bollire la paste assieme a queste rocce che esaltavano il gusto del piatto. Ma anche questo, tuttora, non è possibile da realizzare».

Con la salute non si scherza. Moda sì, insomma, ma senza dimenticare giudizio che vuol dire: uno, preferire l’acqua potabile con l’aggiunta di sale marino all’acqua marina e basta; due, impiegare l’acqua si mare solo se è purificata e microfiltrata (è un po’ più macchinoso, è meno scenografico che pescare con la padella, però ci guadagni in mal di pancia); tre, non farsi mai infinocchiare dall’acqua vicino alle barche o alle scogliere o addirittura alle zone di scarico (magari sembra pulitissima e cristallina, nove volte su dieci non lo è); e quattro, non immergere i cibi direttamente in mare, bastano pochi secondi.

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