Le fragole italiane si prepara a conquistare l'Europa. Dopo settant’anni di coltivazione nel Metapontino, la Basilicata è a un passo dal primo riconoscimento Igp (Indicazione geografica protetta) per le sue fragole, con la domanda pubblicata lo scorso 7 luglio sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Un traguardo storico che rappresenta solo la punta dell’iceberg di un universo fragolicolo italiano ricchissimo e variegato.
Da nord a sud, l’Italia custodisce un tesoro di varietà locali spesso sconosciute al grande pubblico. Venticinque diverse tipologie di fragole hanno già ottenuto riconoscimenti ufficiali, dalle Denominazioni comunali ai Prodotti agroalimentari tradizionali, fino ai presidi Slow Food. Un mosaico di sapori, profumi e tradizioni che racconta la storia del nostro Paese attraverso questo piccolo frutto rosso.
A Maletto, in provincia di Catania, le fragole crescono sulle pendici dell'Etna fin dagli anni Cinquanta, quando gli abitanti di Capranica Prenestina si trasferirono qui dopo una carestia. Oggi questo piccolo comune siciliano è conosciuto come la “Città delle fragole” e le sue varietà- dalla Madame Moutot francese alla Regina delle Valli- hanno ottenuto il triplo riconoscimento: Denominazione comunale, Prodotto agroalimentare tradizionale e presidio Slow Food.
Nel cuneese, a Sommariva Perno, la storia della fragola inizia ai primi del Novecento con Giuseppe Cane, detto “Pinotu ’d Mancin”, che nel 1928 fu il primo a portare le fragole locali al mercato di Bra. Dopo le difficoltà del dopoguerra, nel 1954 nacque la Sagra delle fragole che ancora oggi celebra questo frutto. Nel 2015 le fragole di Sommariva Perno hanno ottenuto la Denominazione comunale e nel 2024 è nato persino un Consorzio di tutela.
TIPICITÀ LOCALI
Ogni territorio ha la sua storia da raccontare. A Carchitti, frazione di Palestrina, in provincia di Roma, la coltivazione iniziò alla fine dell’Ottocento e oggi le fragole sono così importanti che l’Università Tor Vergata ha sviluppato il progetto “Strawberry Fields” per certificarne la qualità attraverso sensori hi-tech. Ad Acconia di Curinga, in Calabria, si producono 20mila tonnellate di fragole all'anno, vendute in tutta Italia e all’estero. Ma dal Piemonte arriva una storia curiosa. Nel 2005 fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale italiana il disciplinare per la Fragola Cuneo Igp. Il progetto però si arenò per motivazioni di carattere tecnico, francamente incomprensibili, con la denominazione ritenuta «troppo generica».
Di recente la fragola cuneese è riconosciuta come Prodotto agroalimentare tradizionale del Piemonte, confermando comunque la sua tipicità. Diversa la storia lucana. La Basilicata è la regione italiana con la maggior superficie coltivata a fragole e qui si coltiva dal 1955 la fragola in attesa di ottenere l’Igp. Il disciplinare appena pubblicato dall’Unione Europea copre nove comuni del Metapontino: Bernalda, Montalbano Jonico, Montescaglioso, Nova Siri, Pisticci, Policoro, Rotondella, Scanzano Jonico e Tursi. «Sono 20 mesi di costanti elaborati, studi, analisi, incontri, ricerche e integrazioni», spiega Salvatore Pecchia, presidente del Comitato promotore Fragola della Basilicata Igp. Ora iniziano i 90 giorni per eventuali opposizioni: se non arriveranno obiezioni, la fragola lucana otterrà ufficialmente il marchio Igp.
In Alto Adige, nella Val Martello soprannominata “valle delle fragole”, si producono 400-450 tonnellate di fragole su 25 ettari, coltivate tra i 1.000 e i 1.800 metri di altitudine. Le forti escursioni termiche e la bassa umidità creano condizioni ideali per sviluppare aromi intensi.
STORIA E PROFUMI
Il Veneto vanta ben tre tipologie riconosciute come Prodotti agroalimentari tradizionali: la Fragola Altopolesana, quella delle Dolomiti Bellunesi, la Fragola di Verona. Nel Lazio, oltre alle famose fragoline di Nemi citate da Virgilio, Ovidio e Plinio, troviamo la Fragola di Terracina, conosciuta come “Favetta”. Al nord, precisamente a Tortona, provincia di Alessandria, si coltiva una rinomatissima fragolina profumata, che si distingue per il sapore intenso, l’aroma persistente e la polpa candida, a dispetto della pigmentazione color carminio della buccia. Dietro questi riconoscimenti c’è un settore in fermento.
La ricerca varietale è molto attiva, con programmi pubblici e privati che sviluppano nuove cultivar adatte ai diversi territori. Dalle varietà californiane storiche come la Camarosa alle nuove rifiorenti come la Albion, fino alle selezioni italiane come Kilo, Nora e Palatina, l’innovazione non si ferma.
Nel panorama mondiale delle fragole, l’Italia rappresenta una nicchia di qualità in un mercato dominato dai grandi numeri. La produzione globale vale circa 14 miliardi di dollari l’anno e vede la Cina in posizione di assoluto dominio: con 3,4 milioni di tonnellate annue, il gigante asiatico produce più fragole di tutti gli altri Paesi messi insieme. Una leadership che dura dal 1994. Al secondo posto gli Stati Uniti con 1,3 milioni di tonnellate, concentrate per il 90% in California. Sul terzo gradino del podio la Turchia, con 728mila tonnellate che l’hanno resa anche il paese con il più alto consumo pro capite: ogni turco mangia in media 8 chili di fragole l'anno. Seguono Egitto e Messico, con una produzione rispettivamente di 638mila e 568mila tonnellate. Noi siamo quattordicesimi con 117mila tonnellate. Fra i Paesi Ue ci battono la Spagna (360mila tonnellate) e la Polonia (162mila).
PREZZI VOLATILI
A luglio 2025 le fragole restano un piccolo lusso per i consumatori italiani. I prezzi al dettaglio oscillano tra i 6 e gli 8 euro al chilo per le produzioni del Trentino-Alto Adige, che in questo periodo dominano il mercato nazionale. Una fascia di prezzo che, secondo gli operatori del settore, è ormai «assicurata» nei mesi estivi quando l'offerta si riduce e la qualità delle fragole di montagna giustifica il prezzo elevato. Le fragole spagnole si posizionano su livelli più accessibili, tra i 4 e i 6 euro al chilo nei supermercati, mantenendo il loro ruolo di prodotto conveniente rispetto alle eccellenze territoriali italiane. La differenza di prezzo riflette non solo i costi di produzione, ma anche filosofie produttive opposte: volume contro tipicità, vita commerciale sul bancone contro sapore.
Il paradosso è che a fronte di una domanda record l’offerta italiana è in calo. Le produzioni di Basilicata e Campania hanno registrato flessioni significative a maggio, mentre il cambio climatico e la riduzione di fitofarmaci hanno fatto calare le rese del 14%. Il risultato sono quotazioni più sostenute ma anche più volatili, con picchi che sfiorano i 10 euro al chilo.