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Ostriche, quando il mollusco veniva trattato come una patatina

Abbinamenti (al netto dello champagne): possibilmente niente, in purezza. Se capita - capita anche a me - di indulgere a un tocco di limone o a una goccia di tabasco basta essere consapevoli dell’errore.
di Andrea Tempestini venerdì 26 settembre 2025

2' di lettura

Segue arcinota frase di Woody Allen: «Non mangio mai ostriche, il cibo mi piace morto, non malato né ferito, morto!». I più esalterebbero la «dissacrante ironia del maestro». A me pare una pretestuosa fesseria. Come il suo cinema - pretestuoso ma non fesso che (confesso) mi fracassa i cabbasisi.

Chi non mangia ostriche ha un qualcosa di malfido. Eppure la circostanza non è rara, ho condotto un instant-poll su quattro persone. Risultati: un le «adoro», un «non impazzisco», un «non le mangio» e un «puzzano di gas» (qui siamo al venerdì mancante).

Ora, un fatto che i più ignorano: l’ostrica fu patatina, chips, ossia stuzzichino servito senza sovrapprezzo nei bar. Cibo povero. Nel XIX secolo si smise di sottovalutarne la delizia e l’ostrica iniziò ad essere venduta: loro sempre più popolari, i mari sempre più inquinati. Morale: su la domanda, giù l’offerta, prezzi alle stelle e l’ostrica diventa élite.

Esistono all’incirca 150 tipi di ostriche ma ne deglutiamo una ventina. Due le grandi famiglie: piatta (Ostrea edulis), dal gusto minerale e più pregiata; concava (Crassostrea gigas), il guscio ricurvo, più comuni, meno saporite. L’allevamento in media varia da 18 a 30 mesi ma può arrivare a 4 anni (vedi le iconiche Gillardeau, carne soda e sensazioni intense). L’allevamento avviene in mare aperto (più sapide) o in bacini di affinamento, i claires. Già, il mollusco può essere affinato in acqua dolce o salmastra per ottenere le carni più pregiate ma anche più costose (sempre la Gillardeau, la Fine de Claire).

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Si ritiene che l’ostrica più costosa al mondo sia la Coffin Bay, australiana, un centinaio di euro a guscio e un tratto insolito: è grossa. Di solito grandezza e qualità cozzano: a tal riguardo cito la Seto Inland Sea che assaggiai in Giappone, una sorta di bistecca spugnosa che si fatica a cacciare nell’esofago. Tra le piccine, la bretone Belon - affinata in acque salmastre -: più che un’ostrica è un oggetto di culto, la regina dell’impero. Le mediterranee sarde, armate di salinità puntuta, si difendono alla grande.

Abbinamenti (al netto dello champagne): possibilmente niente, in purezza. Se capita - capita anche a me - di indulgere a un tocco di limone o a una goccia di tabasco basta essere consapevoli dell’errore. Aceti, peperoncino, cetriolo e zenzero sono profanazioni.

Nota personale: tempi di Covid e lockdown. Un servizio a domicilio consegnava anche l’ostrica verde della Nuova Aquitania (il colore è figlio di un’alga, la Navicule bleu). Erborinate, pizzicorine, sapide. Aspetti positivi: conobbi un mollusco magnifico. Aspetti negativi: il teorico risparmio del lockdown rimase tale. Ma che istanti memorabili (sui quali, però, meglio non aggiungere altro).

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