Nel nostro angolo di mondo domina una triade di aromi: basilico, rosmarino, salvia. Ogni essere umano, in potenza, ha una virtù, un destino che ne potrebbe sprigionare il pieno potenziale. Il problema è individuarlo (merito o fortuna per pochi privilegiati). Dei tre aromi citati solo uno trova la sua virtù in sé e per sé: il basilico. La fragranza è sublime, il sapore altrettanto. Compiuto per natura. Rosmarino e salvia, al contrario, non raggiungono in essenza il pieno potenziale. Seduttivi all’olfatto, ma il palato è altra storia. Per il rosmarino proprio non so dove si nasconda il pieno potenziale, la perfezione del sapore. Per la salvia invece sì.
La scoperta - nulla di trascendentale - avvenne in una casa dalla bellezza potenzialmente assoluta ma intaccata da un destino tormentato. Nessuna compiutezza, insomma. La casa disvelava un pittorico scorcio lacustre - sapeste che tramonti... - e si sviluppava su due livelli: disotto un prato punteggiato da piante da frutto a cui si accedeva da una scala in pietra e da un dislivello erboso. Lungo quella discesa prosperavano due cespugli, uno di salvia e l’altro di rosmarino. Rigogliosi, ipertrofici. La compiutezza della salvia – non solo aroma, ma anche sapore - la scoprii grazie a una signora che del cespuglio sapeva che farne: la salvia fritta. Appunto, nulla di trascendentale. Eppure provate a condurre uno di quei sondaggi spartani a cui questa rubrica ha già fatto ricorso: si scopre che solo una sparuta minoranza ha assaggiato la pietanza.
Del cespuglio la signora coglieva le foglie più grandi e integre, mettiamo una ventina. Venivano lavate e asciugate con cura. In una ciotola la pastella: 100 grammi di farina, un bicchiere d’acqua frizzante gelida, mezzo di birra e una presa di sale. Un impasto non troppo liquido. Immergeva una per una le foglie nella pastella e ne eliminava gli eccessi ottenendo una fodera uniforme. Poi la frittura in olio d’arachidi ben caldo, sui 170°. Un minuto per lato. Scolava e asciugava su carta assorbente, poi ancora un pizzico di sale. Le foglioline vanno mangiate subito, ben calde. Buone e belle, un’estetica peculiarebubboni irregolari, venature verdi e dorate - che genera uno strano magnetismo: risulterebbe naturale assaggiare pur ignorando di che si tratti. Pieno potenziale, il compimento della salvia.
A spanne è il piatto povero più povero che ci sia (non per questo semplice: la frittura nasconde sempre delle insidie). Essenziale, gustoso, nordico per genetica culinaria. Per intendersi: ho chiesto a un’amica campana di trovarmi un piatto più semplice della salvia fritta e mi ha risposto «scarpariello, pizza o pasta e patate». Suvvia, la questione è etnologica.