Per decenni i problemi alla prostata sono stati vissuti come tabù, discussi anche raramente con il proprio medico. Oggi in Italia il cancro della prostata è il tumore più diffuso nella popolazione maschile. Un sintomo difficile da definire che spinge molti uomini a rivolgersi al medico. Secondo i dati dell'AIOM nel 2024 sono stati registrati circa 40.000 nuovi casi di tumore della prostata.
Nonostante l'incidenza elevata la probabilità che la malattia abbia un esito infausto è bassa soprattutto se diagnosticata in tempo, la sopravvivenza a 5 anni è di circa il 91%.
“Il principale fattore di rischio nel tumore della prostata – spiega il dottor Aldo Morra, oncologo e direttore sanitario presso Synlab Euganea Medica – è l'età. Le possibilità di sviluppare un cancro prostatico sono scarse prima dei 40 anni, aumentano dopo i 50 anni e, circa 2 tumori su 3 vengono diagnosticati dopo i 65 anni. È importante la familiarità: il rischio di ammalarsi è doppio in caso ci sia un parente consanguineo rispetto a chi non ha nessun caso in famiglia. Se in famiglia due o più parenti di 1° grado sono affetti da questo tumore il rischio aumenta fino a 3/6 volte. Una diagnosi in famiglia prima dei 60 anni è considerato altro fattore di rischio”.
Il tumore della prostata può essere asintomatico, soprattutto in fase iniziale.
“Alcuni sintomi urinari come la difficoltà a urinare, bisogno di urinare frequentemente, sensazione di non vuotare bene la vescica, difficoltà iniziale alla minzione, sono sintomi aspecifici. Presenti anche in caso di ipertrofia prostatica benigna, una delle patologie più frequenti dopo i 45-50 anni.
Vengono di solito diagnosticati dopo la prima vista urologica che consiste nell'esplorazione rettale e, su indicazione dell'urologo, controllo dell'antigene prostatico specifico, il PSA”.
Per questa patologia non esiste una prevenzione primaria aspecifica ma come per tutte le forme tumorali ci sono delle accortezze che contribuiscono a ridurre il rischio, come l’aumentato del consumo di frutta, verdura e cereali integrali e la riduzione del consumo di cibi ricchi di grassi. E’ importante anche mantenere il peso forma e svolgere attività fisica in maniera regolare.
“Per quanto riguarda la prevenzione secondaria – continua il dottor Morra - è importante rivolgersi al proprio medico che potrà suggerire una visita urologica che poi verrà ripetuta annualmente, anche in base alle indicazioni dell'urologo. La prima visita urologica per il tumore della prostata viene eseguita circa a 45-50 anni, salvo nei casi di familiarità o rischio genetico, nel qual caso è indicata una visita urologica a 40 anni.
La visita urologica, che comprende l'esplorazione rettale e il dosaggio del PSA possono permettere all'urologo di selezionare i pazienti da inviare a ulteriori accertamenti. Il PSA da solo non permette di effettuare una diagnosi precoce di tumore della prostata, i valori possono essere alterati anche in presenza di iperplasia prostatica benigna e in caso di prostatite”.
Attualmente per identificare il tumore un’indagine molto utilizzata e la risonanza magnetica cosiddetta multiparametrica, esame che consente di identificare in maniera precisa lesioni sospette e quindi di indirizzare il paziente a una biopsia prostatica.
La biopsia prostatica si esegue sia in regime ambulatoriale che in day-hospital, prevede prelievi multipli eseguiti per via transrettale o per via trans perineale; alcune volte viene effettuata la biopsia prostatica in “fusione”, in questi casi si sovrappongono le immagini ottenute con risonanza magnetica multiparametrica a quelle ottenute diretta dall’ecografia transrettale per eseguire dei prelievi più mirati.
Una volta posta la diagnosi, su indicazione dell’urologo, vengono effettuate le indagini di stadiazione che comprendono generalmente una TC con mezzo di contrasto, una scintigrafia ossea o una PET-PMSA, quest'ultima permette di identificare le lesioni con maggior precisione e di identificare lesioni metastatiche di piccole dimensioni.
“Oggi – spiega il dottor Morra - sono disponibili molti tipi di trattamento per il tumore della prostata.
In alcuni casi, come per pazienti molto anziani o con altre malattie gravi, si può scegliere di non eseguire alcuna terapia, così detta “vigile attesa “sino alla comparsa di sintomi.
Lo stesso comportamento si può seguire in pazienti con malattia localizzata a basso rischio, nei quali si effettua una sorveglianza attiva che consente di tenere sotto controllo la malattia sottoponendosi regolarmente a esami di accertamento.
L'approccio chirurgico prevede la prostatectomia radicale. Negli ultimi anni la chirurgia robotica è diventato lo standard di riferimento perché rispetto alla chirurgia classica consente un recupero funzionale più veloce più rapido, soprattutto per quanto riguarda la continenza urinaria e permette di preservare la funzione erettile”.
Nel caso di tumori più aggressivi viene proposto un trattamento multimodale. “In caso di malattia metastatica – conclude l’oncologo - si preferisce la terapia ormonale, cosi detta deprivazione androgenica; questa terapia ha la finalità di azzerare i livelli di testosterone, ormone maschile che stimola la crescita del tumore della prostata.
La chemioterapia è utilizzabile in casi selezionati in associazione all’ormonoterapia oppure in pazienti con carcinoma della prostata resistente alla terapia ormonale.
Altre possibili terapie in pazienti resistenti alle terapie ormonali sono la terapia radiometabolica e le terapie a bersaglio molecolare, come gli inibitori Parp, in particolare in uomini che hanno mutazioni dei geni BRCA.
Si sta valutando infine l'efficacia dell'immunoterapia, già utlizzata in molte altre neoplasie (melanoma, polmone ecc), questa terapia potrà rappresentare un’ulteriore arma di trattamento nel prossimo futuro per i pazienti resistenti alle terapie standard”.




