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Sanremo 2024, "una sola regina": tam-tam su Loredana Bertè

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Luca Beatrice
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 I testi non bastano per capire se un pezzo è bello, funziona oppure no, in ogni caso possiamo farci già un’idea su che Festival sarà, a livello di contenuti, storie, sensazioni. Ad esempio la politica, che aveva fatto il pieno negli anni scorsi, è limitata al mondo rap ormai convertito al pop. Dargen D’Amico non rinuncia a parlare di sbarchi, «sta arrivando l’onda alta» e «siamo più dei salvagenti sulla barca», ovviamente se la prende con i media, «basta un titolo a fare odiare un intero popolo», mentre Ghali, che da Sanremo attende un rilancio, si butta sulla cronaca, «bombardate un ospedale per un pezzo di terra o un pezzo di pane», ricorrendo alla citazione, datata, del Truman Show. A proposito di citazioni, imperversa Battisti nei Negramaro, una canzone che fa molta estate immaginando mare e vento del Salento: «Bionde trecce, discese e risalite». Alessandra Amoroso, nella cupa ambientazione di Fino a qui si immedesima nel personaggio di Sally resa immortale da Vasco.

Bnrk44 che vogliono un «governo punk» (un ossimoro, nessun punk vorrebbe governare) rimandano ai Sex Pistols ma poi sbagliano i riferimenti pescando nel pop di Blur e Queen, insomma parecchia confusione. Non c’è Sanremo senza l’amore e nel mucchio vince quello, davvero un miracolo, dei The Kolors, che parlano di «un ragazzo e una ragazza», vuoi vedere che esistono ancora storie così e soprattutto si possono raccontare nel 2024? C’è emozione in certi quadretti impressionisti, come i Diamanti grezzi di Clara, il bacio con la lingua, la prima volta, tocchi di necessario baglionismo. Però gli amori di oggi sono Fragili come l’esordio di Il Tre, uno che non smette di chiedere scusa se ti ho fatto male e all’ennesima volta risulta davvero insopportabile. Immerso nella nostalgia il povero Irama che ha perso l’amore, «bastasse solo una stupida canzone per riuscire a riportarti da me».

 

 

Ai feriti a morte dal sentimentalismo si iscrive anche Diodato, Ti muovi è una storia finita gemella di quella che aveva vinto nell’anno sfortunato del covid. Sangiovanni, idolo dei giovanissimi, confessa il suo carattere impossibile, si dichiara un bugiardo patentato, impreca «Finiscimi» con fare sadomaso infarcito di c**o e co***ne. Il turpiloquio fa molto ragazzino sciamannato della generazione Z, meno naturale se le parolacce a pronunciarle è una signora come Emma, che quest’anno va in Apnea munita di televisori e telecomandi (immagine che ci stava bene vent’anni fa), dice di non capirci un cazzo per non smettere mai di essere aggressiva e stare dentro il personaggio. Altro tema sanremese forte è l’autobiografismo, quella tendenza a parlare solo di se stessi, manco il mondo finisse attorno al proprio ombelico. Quando a farlo è Loredana Berté il discorso si fa credibile: sulla carta il testo di Pazza sembra il migliore, sempre che non lo rovini con una performance strampalata. «Sono pazza di me», non avevamo dubbi.

 

 

Geniale il passaggio «io cammino nella giungla con gli stivaletti a punta». Tracce di chanson verité le aspettiamo soprattutto da Big Mama dopo i racconti di bullismo e violenza sessuale, «adesso sono un’altra, la rabbia non ti basta», frase intelligente per un pronto riscatto. Delicato l’autoritratto di Mr. Rain, a tratti lamentoso, che però sa trasformare le canzoni in immagini piuttosto efficaci. Dopo tanti maschi nei primi posti l’anno scorso ci si attende un Festival più rosa, con favorite che vanno da Annalisa (testo di mestiere sulla scia del successo di Bellissima) ad Angelina Mango cui gli autori dovrebbero evitare strafalcioni grammaticali come «a me mi viene» visto che attraverso le canzoni si può imparare a scrivere, fino a Fiorella Mannoia che in Mariposa sciorina un catalogo di figure femminili estratto dall’intero repertorio di Fossati. Tra i più convincenti mi pare Gazzelle, sensibile il quadretto ambientato a Roma Nord, la città borghese in auge da Tommaso Paradiso in poi. Dove il kitsch colpisce duro è tra gli insistiti anglismi di Mahmood, incomprensibile il testo di Tuta gold sullo stile di Achille Lauro e il rumorismo neofuturista di Rose Villain, «boom, vroom, click» manco fosse Marinetti. 

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