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Lucio Battisti, gli enigmi nascosti nei suoi brani: la scoperta è clamorosa

Mario Bernardi Guardi
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Facciamo parte della generazione degli anta-, dunque abbiamo vissuto gli anni “plumbei” o giù di lì, quando c’era chi strillava che “il privato” è politico, e guai a dargli torto. In quegli anni “formidabili” per dirla con Mario Capanna, alfiere del Movimento Studentesco, dunque dei “Katanghesi” ovvero dei più accesi “kontestatori” rossi, i giovani, imbeccati dai vecchi, si pestavano a sangue inalberando le insegne degli opposti estremismi, “fascio” o “antifa”. Divisi su tutto, lo erano anche nelle scelte dei cantanti, eletti o reprobi, a seconda della collocazione politica, vera o presunta.

Bene, se i “sinistri” spasimavano per Guccini, Venditti e De Gregori, i “destri” impazzivano per Lucio Battisti. Che, come il suo amico e paroliere Mogol, di destra non era, ma di sinistra ancor meno, dunque andava benissimo. E poi, con la sue canzoni, toccava e faceva vibrare tante di quelle corde, che anche i “compagni” ascoltavano commossi e compunti, e dovevano riconoscere che quel maledetto “fascio” di Battisti trasformava anche le loro emozioni in palpiti e carne.

 

 

Ma forse, ci dice Marco Rossi in questo libro sicuramente singolare, in egual misura discutibile, ma senz’altro interessante (Volando intorno alla Tradizione. Lucio Battisti fra musica ed esoterismo, Cinabroedizioni, pp. 117, euro 16), Battisti era anche qualche cos’altro. E siccome Marco Rossi “se ne intende” perché è un illustre studioso di cultura del Novecento e in particolare di quella “esoterica”, le sue suggestioni sono anche suggerimenti di percorso. Battisti rende visibile l’invisibile, canta la musica, il mistero, il sentimento “verticale” della vita, alla faccia del materialismo, del progressismo, di tutto il “politicamente corretto” di ieri e di oggi?

Sicuramente, nel contesto storico degli anni Sessanta e passa, dice quello che gli altri non dicevano, offrendo alle orecchie e al cuore di chi ascolta, scenari che non hanno nulla a che fare con slogan trucidi, carichi di ideologia e di voglia di morte. Si parte da Emozioni e il messaggio- non didascalico, niente a che fare con il compitino telecomandato- ti afferra negli strati più profondi. C’è un airone che vola sopra il fiume e voli con lui. Ci sono l’erba, la collina, il sole, la tristezza che non fa rumore, tu che guidi come un pazzo a fari spenti nella notte, per vedere se poi è tanto difficile morire.

Insomma c’è la voglia di un “oltre” che dice che la tua umanità ha bisogno di slanciarsi, di trovare paesaggi che non solo quelli a cui sei abituato, di sfidare l’attualità, il presente, le consunte e consuete immagini del presente. Azzardi che rinviano a un vero processo di maturazione spirituale. Iniziazione come in un antico rituale? Auto-iniziazione, percorrendo e intrecciando le più varie vie, al modo con cui hanno fatto alcuni esoteristi del ‘900 (Rossi è uno dei più autorevoli studiosi di Julius Evola)?

E con quale consapevolezza visto che, a quanto si sa, né Mogol né Battisti avevano frequentavano il sovrasensibile, l’occulto, il magico? Ma è proprio necessaria la consapevolezza, allorché “dal lontano e dal profondo” avverti di non appartenere alla contemporaneità e che vai cercando un tuo Graal? Rossi “segue” Battisti e l’itinerario è quello di una crescita interiore lungo i più accidentati setieri.

Dall’Aquila alla Canzone del sole, da Anche per te a Il mio canto libero, la via, attraverso discese ardite e risalite, si dipana verso una gerarchia di stati dell’essere liberatori. L’Alto è l’Altro, forse è un inattingibile Chissàdove e Chissàperché, ma l’unica vita che meriti di essere vissuta è quella che si interroga. Non ci sono risposte? Le risposte sono ambigue? Le canzoni di Battisti dicono che l’ambiguità è pluralità di avventure spirituali e che svelare è sempre un rivelare Scoprire e, di nuovo, nascondere. Chi è in grado di vedere, vede.

 

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