La solita musica, note stonate, uno sporco lavoro ma... Se non fosse un tabù, sul Primo Maggio da qualche anno a questa parte le ironie si sprecherebbero. La verità è che la celebrazione dei lavoratori è da tempo un evento di propaganda politica, in qualsiasi sua declinazione: concertone, comizio, interviste in tv. E forse mai come in questo 2025 è sembrata una stanca, loffia checklist: il “Bella ciao”? Fatto. La pace? Fatto. L’arcobaleno? Fatto. La critica a Israele? Fatto. Nostalgia rossa? Fatto. Il patriarcato? Fatto. Il resto è noia, come canterebbe Franco Califano.
A Trieste qualche simpaticone porta al corteo le bandiere titine della Jugoslavia, sfregio alla memoria delle vittime italiane delle Foibe. Nessuno sente il dovere di dire: per favore, abbassale e vattene. «Un gesto ignobile - ha dichiarato Silvano Olmi, presidente del Comitato 10 Febbraio – che si ripete da anni e deve essere condannato da tutti i veri democratici. I sindacati, quindi, prendano le distanze da queste esibizioni e allontanino chi si traveste da partigiano, esponendo simboli comunisti». Tutto già visto. Come a Roma. In piazza San Giovanni va in scena il “rituale” che chiude il “mese breve” iniziato con il 25 aprile. Un mese rosso, stinto. Chi negli anni Novanta si collegava su Rai 3 lo faceva per motivi ideologici, “di bandiera” - appunto -, ma anche per vedere cosa di interessante avesse da proporre il panorama musicale indipendente e alternativo italiano. I soliti nomi, il solito giro, il solito circo, ma tant’è. Oggi che la scena è disintegrata, molte band sciolte, alcuni protagonisti di allora sono invecchiati male o addirittura scomparsi, lo spazio è riempito con qualche popstar che poco ci azzecca con l’evento dei sindacati (Giorgia, Achille Lauro) e qualche novello aspirante agit-prop. Sfila la neo-femminista Elodie al posto di Fiorella Mannoia o Carmen Consoli.
Per giustificare la sua presenza, ricorda di essere stata già presente al Concertone ma da ragazzina. Stelletta al merito. Sfila Carl Brave, artista di casa, che dedica la sua performance a Gino Cecchettin, papà di Giulia, dicendosi d’accordo sulla richiesta di un vademecum per un linguaggio più consapevole nei testi delle canzoni. Sfila Ghali, versione più stilosa dei barricaderi 99 Posse. Chi si aspettava invettive su Gaza Sanremo-style è rimasto deluso. Resta la scenetta abbastanza goffa della base registrata di “Casa mia” che scorre mentre il microfono si spegne. Trattandosi di esibizione “dal vivo”, fa un po’ tristezza. Sfila Gaia, e anche per lei l’autotune è malandrino: dopo aver cantato “Chiamo io, chiami tu”, saluta gli spettatori tenendo acceso il software che corregge le imperfezioni della voce, con risultati tragicomici. Un appello “in playback”. Plasticoso, quasi artificiale. Come tutta la giornata. Sfilano i Patagarri. Nome da ridere, ispirato ai sardi di Aldo Giovanni e Giacomo, musica “leggerissima” jazz-swing, una carriera lanciata dai talent (X Factor).
Ma sotto sotto, anzi fuori fuori un cuore rosso grande così. Immaginiamo la scena nel pre-concerto, dietro le quinte: «Chi grida Palestina libera stasera?». Riffa vinta dai milanesi, che prendono un brano tradizionale ebraico, “Hava Nagila”, e concludono con l’urlo anti-Israele. «In un momento come questo, in cui la situazione umanitaria è gravissima e molte voci vengono silenziate, pensiamo che la musica debba tornare a fare ciò per cui è nata: lanciare messaggi forti». Nel mondo dello spettacolo, a venire “silenziati” non sono proprio i proPal. Ma vabbè. Per Victor Fadlun, presidente dela Comunità ebraica di Roma, «appropriarsi delle melodie a noi più care per invocare la nostra distruzione è ignobile». Sfila il divulgatore Vincenzo Schettini, che conduce insieme a Ermal Meta, Big Mama e Noemi, e ricorda Papa Francesco. Sfilano Big Mama e Noemi, appunto, con un (castissimo) bacio sulle labbra in nome dei diritti degli omosessuali. Segue monologo della cantante napoletana contro il body shaming e gli odiatori social. Sfila, e lo fa per primo, Leo Gassman. Figlio di Alessandro. Da Bandabardò e Modena City Ramblers prende il testimone e annuncia: «80 anni fa uomini e donne coraggiose ci hanno permesso di vivere in un’Italia libera e democratica ed erano ragazzi e ragazze come voi. Non dimentichiamo». La sua “Bella ciao” apre e, in pratica, chiude la cerimonia dopo pochi secondi. Concertone, ciao.