Ma come recita bene Elio Germano. Non è una battuta bensì un dato di fatto. Sarebbe partigiano non riconoscere che il nemico pubblico numero uno del ministro della Cultura, Alessandro Giuli, ha talento da vendere nel suo lavoro. Infatti se lo fa pagare a caro prezzo. Quello che è in saldo è la coerenza tra il dire e il fare.
L’attore romano ha vinto il David di Donatello perché è bravo e anche perché era un rigore a porta vuota, visto che vestiva i panni di Enrico Berlinguer, uomo ormai intoccabile da venerare anche per interposta persona. “La grande ambizione” è il titolo del film e l’interprete ha approfittato del palco per coltivare anche la propria, diventare il paladino della riccanza cinematografica. «Il cinema è in crisi per grossa responsabilità del ministero della Cultura, per me è fastidioso ascoltare Giuli sostenere che le cose vanno bene» ha detto Germano, concludendo con il rituale «meno male che Sergio Mattarella c’è», quasi che l’evocazione del presidente fosse un lasciapassare per non ricevere critiche. Sorpresa, il ministro ha risposto per le rime, ricordandogli che non è di classe «approfittare di occasioni istituzionali per rappresentare la propria minoranza rumorosa». Questione di educazione, ma l’osservazione non è andata giù agli intoccabili di Cinecittà, che hanno fatto da scudo al Berlinguer versione 2025; di meglio i tempi non passano, profondendosi nelle consuete accuse al governo di destra nemico dell’arte libera.
Chi si espone, e ne sa qualcosa Giuli, che si è visto inseguire la sorella dai segugi di Report semplicemente perché lavora da sempre per Fratelli d’Italia, desta curiosità. Così Libero è andato a curiosare se Germano abbia davvero qualche ragione per lamentarsi del governo che affama il cinema e toglie soldi al dissenso. Abbiamo così scoperto che la pellicola premiata, occasione della roboante protesta, ha ricevuto due milioni di euro di aiuti pubblici, di cui 450mila euro di contributivo selettivo assegnati da questo governo. Una fetta non irrilevante è stata usata per pagare il cachet all’interprete, che si è accontentato di trecentomila euro. Più economico di Leonardo Di Caprio, in fin dei conti. Ma non stiamo certo a questionare sullo stipendio di Elio-Enrico anche perché, caso raro, stavolta l’operazione ha avuto buon esito al botteghino, dove ha incassato 3,8 milioni, circa due e mezzo in meno di quanto è costato complessivamente, ma non è dalla storia di un comunista che si può sperare di fare i soldi; almeno qui, un po’ di coerenza sopravvive. Semplicemente adesso è più chiaro a tutti perché l’attore, già rosso di capelli senza tingersi, si presentò anni fa al Lido di Venezia, sintesi dell’opulenza fané, esibendo una maglietta con una gigantesca falce e martello. In apparenza c’entrava come i cavoli a merenda, in realtà era un’autocandidatura, una sorta di provino. Capiamo anche che “Berlinguer ti voglio bene” non è solo il primo film che tira in ballo il segretario comunista per fare più cassetta, ma uno dei rari casi di riconoscenza nello spietato mondo del cinema.
Siccome però siamo proprio dei rompiscatole, siamo andati a spulciare se sia Berlinguer oppure Germano il re Mida del botteghino. E abbiamo scoperto il fascino superiore del comunista d’altri tempi, quello dei comizi in fabbrica, rispetto a quello illuminato dalle luci della ribalta. L’indagine non è esaustiva, ma grosso modo risulta che le ultime dieci pellicole con il compagno Elio in cartellone siano state finanziate dallo Stato per poco meno di 18 milioni, incassandone purtroppo poco più di 12. Tra queste ce ne sono alcune, con tutto il rispetto per il nome della star, davvero per cinefili da spettacolo delle due del lunedì pomeriggio. Alludiamo a “Iddu”, “N -Ego” o supposti capolavori dal titolo ancora più emblematico come “Volevo nascondermi”, e ci sono riuscito perfettamente, o “Il signore delle formiche”, risparmiatrici proverbiali in grado di raggranellare dallo Stato due milioni e settecentomila euro. “Niente di vero” verrebbe da dire, non fosse anche quello – di Veronica Raimo; parentele con il prof anti -Meloni o solo destino beffardo di omonimia? - ci è costato, trecentomila euro, non un’enormità ma di certo spendibili meglio.
In buona sostanza, senza stare a prendersela solo con Germano, che è solo un ricco ingranaggio di un sistema che l’attore difende a prescindere, il discorso dei finanziamenti al cinema andrebbe allargato. Elio il rosso è solo un militante, un interprete che recita a tutela di interessi superiori. Magari però qualche suo collega, anziché seguirlo acriticamente, potrebbe iniziare a porre il problema di separare il grano dei pochi film capaci di ergersi a industria del turismo e dello spettacolo dalla gramigna delle centinaia di cine -parassiti che vivono di sussidi per prodotti che spesso non arrivano neppure in sala.
Quanto a Germano, ormai ha saltato il guado, si è fatto risucchiare. Le sue dichiarazioni politiche contro questo governo, accusato di «agire come i clan» hanno privato di qualsiasi autorevolezza ogni sua possibile valutazione tecnica. Anche perché un attore di sinistra che sostiene che il cinema sia egemonia della destra è peggio del bue che dà del cornuto all’asino. È come un parlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra che attacca Donald Trump girando sulla Tesla da 40mila euro di Elon Musk, o è più semplicemente solo un asino.