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Germano sempre più isolato dai colleghi

L’attore continua a criticare Giuli, ma in tanti cominciano a prendere le distanze dalle sue invettive ideologiche
di Pietro Senaldi venerdì 23 maggio 2025

3' di lettura

Il registro non cambia. Elio Germano usa sempre l’insulto per rivolgersi a chi non fa quel che lui vuole o ritiene giusto. Due settimane fa aveva usato il palcoscenico della consegna dei David di Donatello per dare dei mafiosi agli esponenti del governo, dicendo che «agiscono con la logica dei clan». L’attore se ne era fregato del fatto che il luogo da cui lanciava accuse così pesanti fosse il Quirinale, luogo dove si teneva l’evento; tanto lui è il giusto, è il protagonista. Ovunque lui si trovi, per fino sul Colle più altro, ritiene che gli altri siano comparse. Improbabile che il comportamento sia risultato gradito a chi lo ospitava. L’altra sera l’istrione aveva un pubblico di minor riguardo e una location a lui più consona, non tanto per il talento, notevole, quanto per le idee che esprime, modeste: un cinema della ex zona popolare romana del Pigneto. Si chiama “Nuova Aquila”, ma evidentemente Elio il rosso non ha colto nel nome richiami al Ventennio e quindi è partito a testa bassa, andando giù ancora una volta pesante. Nel mirino, il ministro della Cultura, Alessandro Giuli.

«Ci sono rappresentanti dello Stato che lasciano una sensazione inquietante: giurano sulla Costituzione ma forse non ci credono». Germano forse, come prossimo personaggio, ambisce a interpretare Roberto Saviano. In ogni caso, lo scimmiotta alla perfezione. «C’è necessità di raccontare e squarciare un po’ di propaganda su quanto successo in questo Paese e non ci fanno studiare nei libri di storia: le mafie, le connivenze, i servizi, le stragi di terrorismo nero». Insomma, l’attore vede complotti e delinquenti ovunque. Forse è ignaro, da una parte che i libri di storia in uso nella scuola italiana sono scritti quasi tutti da professori di sinistra, dall’altra che, prima di scrivere una cosa in un libro di storia, dovrebbe essere accertata come verità storica e non semplicemente raccontata come la vede il regista di un film o come torna a lui o a chi con lui condivide la medesima visione ideologia sui recenti avvenimenti d’Italia. La storia recentissima non si studia a scuola proprio perché, perché dei fatti diventino storia, deve trascorrere il tempo necessario a sottrarli al dibattito politico dell’attualità e alle manipolazioni ideologiche che esso comporta. La notizia però non è tanto il comizio di Germano, che in serata ha avuto anche modo di fare propaganda a favore del referendum, sostenendo la balla che per difendere la democrazia bisogna in ogni caso andare a votare, mentre ormai da decenni - da quando quello degli astensionisti è il maggior partito del Paese - chi non vuole che una legge sia abrogata (nella fattispecie il Jobs Act), deve starsene a casa e puntare sul non raggiungimento del numero minimo di votanti perché la consultazione sia valida. La notizia è che più Elio il rosso alza i toni, più i colleghi li fanno il vuoto intorno. Già un paio di giorni fa Fiorello, uno che per aver successo nel mondo dello spettacolo non ha avuto bisogno dei fondi pubblici, aveva marcato le distanze.

Nella puntata d’esordio su Rai Radio 2 di “Radio 2 Radio Show- la Pennicanza”, il suo nuovo programma con Fabrizio Biggio, aveva detto che «lo sappiano tutti, tra noi ci sono stati i truffaldini che hanno girato film solo per prendere soldi e vanno fermati». A segnare la strada si è aggiunto Claudio Santamaria, attore al di sopra di ogni sospetto di simpatie con questo governo. «Speriamo che il cinema italiano vada lontano» ha detto, «ma per questo bisogna eliminare ogni polemica dalla questione, perché altrimenti non si va da nessuna parte, e aprire un dialogo, fare un tavolo tecnico sulle modifiche al tax credit e sbloccare la situazione». In effetti, in questi giorni, sotto i riflettori, le personalità più accorte del cinema si stanno muovendo. I contatti con il ministero sono quotidiani. Pupi Avati, il regista consulente del governo sul cinema, ha chiesto un incontro al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, per sottoporgli la sua proposta di un tetto ai finanziamenti: soldi solo alle produzioni con budget non superiori ai 3,5 milioni di euro. Di certo la questione non passa solo dal ministero della Cultura ma decisivo è il parere della Ragioneria di Stato. È da lì che arriva l’input forte a tagliare, visto che un miliardo l’anno al cinema è tanto, specie se paragonato ai fondi per l’editoria, che sono su per giù il 25% di quelli concessi alla compagnia di giro di Germano e soci.

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