Qualche giorno fa Marco Risi ha festeggiato i 74 anni al Festival Internazionale del Cinema di Pompei, ideato e prodotto da Annarita Borelli. È stato un momento magico in cui il regista di Mary Per Sempre, conosciuto soprattutto per il suo cinema civile e per essere il figlio dell’immenso Dino, si è raccontato tra aneddoti, ricordi e quello humor che, chi ha letto Forte Respiro Rapido, folgorante libro in cui parla tantissimo del padre, conosce bene. «Essere figlio di mio padre è stato uno stimolo», dice a Libero, «non mi ha mai fatto sconti. Kafka l’avrebbe criticato. Ma è anche vero che Kafka diventò Kafka anche grazie a quel padre là».
In effetti, dedicarsi alla regia avendo come papà il Maestro Risi sarà stato rischioso. Oppure più un incentivo?
«È il tema. “Ma che ce vo’”, tendono sempre a dirti, con il dito puntato, “con un padre come Risi...”. Sei avvantaggiato all’inizio, ma poi devi essere capace, se no la legge del mercato ti spazza via. Per me è stato un punto di riferimento: tra l’altro la sua prima carriera fu quella di critico cinematografico».
Ce la ricordi.
«Una volta aveva dettato un al telefono la recensione di un film senza nemmeno averla scritta, tutto a braccio. Sono sempre stato libero. Vide il mio primo film, Vado a vivere da solo, commedia con Calà, e commentò: “Si vede che sei un professionista”. Non era un complimento. Leggendo la sceneggiatura di Ultimo capodanno disse: “Fossi al posto tuo, farei di tutto per non farlo”. Poi il film uscì e ammise: “Avevi ragione”. Non regalava niente. Ragazzi fuori lo definì “molto cupo”. Lui. Che ne Il Sorpasso aveva fatto morire quello buono, Trintignant. De Sica gli disse: “Ma cosa hai fatto?”».
E Mary per sempre?
«Espresse stima forte per la prima volta. Mi spiace che non abbia fatto in tempo a vedere Fortapàsc, a cui è dedicato».
Fortapàsc - la storia del giornalista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra a 26 anni - è il suo film più importante?
«Secondo mio figlio, Mary per sempre è il mio film più conosciuto, Ultimo Capodanno il più cult, Fortapàsc il più bello».
Concorda?
«Direi di sì. Ebbi il tempo giusto per farlo. Sul set c’era poi un’atmosfera particolare, difficile. Le riprese a Napoli erano dense di grande affetto. Temevo tensioni, c’era gente ammassata, avevo paura che ci fossero quelli là. Invece era gente bella. C’erano Picchio (l’attore Libero De Rienzo), Andrea Purgatori: tutti morti. Il 3 giugno iniziarono le riprese, il 4 era il mio compleanno, per la prima volta nella sua vita venne mio padre sul set. Il 7 giugno morì».
Un film che le è venuto meno bene?
«Forse Tre mogli poteva essere più divertente e non dico per colpa di chi. Però è stato un bellissimo viaggio: dalla Patagonia alla fine del mondo, Ushuaia. Dicono che dovrei fare solo film di impegno civile. C’è la tendenza a etichettare. Prendiamo Rosi: ci si inchina davanti a lui ma lo trattarono male quando fece C’era una volta con Sophia Loren e Sharif, che era una favola».
Con la stampa lei che rapporto ha avuto?
«Le racconto questa. A Hollywood party, trasmissione tv, fui invitato e c’era anche Vittorio Feltri, allora direttore de Il Giornale. Ci fu una polemica perché a proposito del mio film Il branco, presentato a Venezia, titolarono: “Altro fango sull’Italia”. In tv, Feltri disse: “Mi dispiace per la polemica, io sono un grande estimatore di Risi: Le mani sulla città è il mio film preferito».
Ma era un film di Rosi, Francesco Rosi.
«Fu divertente (Ride)».
Quali sono stati i miti del cinema che, grazie a un padre così, ha conosciuto?
«In casa venivano in pochi, la vita privata era molto diversa dalla pubblica. Anche le belle donne le vedeva fuori casa. Gassman era molto presente, ricordo Amedeo Nazzari, Walter Chiari. Con De Sica ricordo un incontro di teste bianche molto intenso. Ero incantato a guardare lui e Fellini. Ogni volta mi emozionavo. Fellini raccontò una delle sue balle».
Quale?
«Di come aveva avuto la prima avvisaglia dell’ictus. Disse di trovarsi all’Hotel Plaza di Roma, nel giardino, per un’intervista con un giornalista francese. Fece per prendere la bottiglia dell’acqua e la mancò. Svenì, il cameriere gli sollevò le gambe. Mica vero: in realtà successe a casa di un’amante. Fellini era un ballista numero uno».
Altro esempio?
«Le cose che si attribuiva erano in gran parte esperienze del fratello. Gli diceva: “Riccardino, mamma ha un cognome così bello, perché non prendi il cognome della mamma?”. Non gli piaceva che ci fossero due Fellini».
È più bello essere padre o essere figlio?
«Essere figlio, soprattutto con un padre come il mio. Vittorio Cecchi Gori dice sempre: “Io morirò figlio”. Il grande Mario era un padre tosto, non voleva fare affari con la tv. Per molti sarò sempre e solo “il figlio di...”».
Stenio Solinas ha definito Dino Risi «il più disincantato perfido osservatore della società». Cosa direbbe di tutta la correttezza di oggi?
«Non la sopporterebbe. È sempre stato molto franco. Con un occhio disincantato e critico, non so se perfido. Tutta questa correttezza di oggi forse è un bene ma toglie sentimenti, verità. Un film come Colpo di fulmine non lo potrei fare oggi. “Un trentenne nevrotico si innamora di una undicenne”, questa era la trama: si dice che le trame debbano stare dentro a una cartolina».
E lei cosa pensa?
«Lo stesso. Pensiamo anche ai selfie. Gassman si sottraeva alle foto, non le sopportava. Infatti sto scrivendo un libro ambientato nel 1975, un romanzo, in cui tutto questo non c’era. Ci sto lavorando da anni, forse uscirà quando sarò morto».
Sta girando un nuovo film?
«Due, per la verità, uno prodotto da Tilde Corsi ma bloccato. Mi piacerebbe che qualcuno lo riprendesse in mano ma non è semplice. Si svolge il 95% in Ucraina».
Ci dica la trama, sempre in una cartolina.
«Una ragazza, che diventa un ragazzo in Italia, torna in Ucraina ed è costretto, lui che odia la guerra, a combattere».
E l’altro?
«Su Vittorio Cecchi Gori, trionfo e caduta di un tycoon italiano».
Cosa le è piaciuto di recente?
«Vermiglio, Vittoria, prodotto da Nanni Moretti».
A bruciapelo: Guadagnino o Sorrentino?
«Matteo Garrone. I suoi film sono pieni di sincerità, spontaneità ed emozione».
Lei ha tenuto a battesimo tante star di oggi: Giallini, Zingaretti, Bellucci, Santamaria. C’è riconoscenza?
«Non la cerco. Ma sono tutti molto carini».
Cosa pensa dello scontro tra il cinema e il governo per i tagli alle sovvenzioni?
«Leggevo giorni fa su Cinemotore che ci sono 20 set aperti, 172 film in uscita anche indipendenti. Altro che crisi. Certo, ci sono i problemi, una volta i produttori rischiavano, oggi se non hanno le spalle coperte non lo fanno. La cultura, comunque, va sostenuta. Quel cinema che parla dell’animo umano va aiutato. Io mi sono acculturato col cinema».
Per esempio?
«Quando vidi per la prima volta Ladri di biciclette in tv mi colpì tantissimo. O i vari Wilder: Viale del tramonto, Asso nella manica. Il cinema è vita, oggi li vedo tutti lobotomizzati dai cellulari».